In nome della legge

ITALIA – 1949

Un giovane magistrato (Massimo Girotti) è inviato come pretore in un paese della Sicilia. Vi giunge animato dai migliori propositi: farà il suo dovere ad ogni costo combattendo la mafia imperante. In paese è accolto con diffidenza e ostilità: l’unico a dimostrargli simpatia è un giovane, Paolino (Bernardo Indelicato). L’indomani del suo arrivo, il pretore deve occuparsi di un omicidio; ma l’inchiesta è difficile, perché tutti sono omertosi. Una parte della popolazione è disoccupata, in seguito alla chiusura di una zolfara. Il pretore cerca di risolvere il problema inducendo il barone Lo Vasto (Camillo Mastrocinque), che amministra la zolfara, a riaprirla e ad uniformarsi alla legge. Il barone, legato a filo doppio con la mafia, cerca di corrompere il pretore e non riuscendovi gli fa tendere un agguato. Rimasto soltanto ferito, il Procuratore Generale, accennando alla presunta ostilità della popolazione, lo consiglia a trasferirsi. Avvilito, decide di andarsene; ma quando apprende che Paolino è stato ucciso dalla mafia, ritorna in paese e convocati sulla piazza gli abitanti, annuncia che resterà al suo posto, deciso a ristabilire ad ogni costo il rispetto della legge.

Regia: Pietro Germi

Attori: Massimo Girotti – Pretore Guido SchiaviJone Salinas – Baronessa Teresa Lo VastoCharles Vanel – Turi PassalacquaCamillo Mastrocinque – Barone Lo VastoSaro Urzì– Grifò,Maresciallo dei carabinieri, Carmelo OlivieriDon PeppinoPeppino Spadaro– Avvocato FaragliaTuri Pandolfini – Don FifìNadia Niver – Bastianedda,Bernardo Indelicato-Paolino, Saro Arcidiacono – Il CancelliereNanda De Santis – LorenzinaIgnazio Balsamo – Francesco Messana 

Soggetto: Giuseppe MangioneGuido Lo Schiavo

Sceneggiatura: MarioMonicelliFederico Fellini, Tullio Pinelli, GiuseppeMangione, Pietro Germi

Fotografia: Leonida Barboni

Musiche: Carlo Rustichelli – MUSICHE DIRETTE DA UGO GIACOMOZZI.

Montaggio: Rolando Benedetti

Scenografia: Gino Morici

Durata: 99′Colore: B/NGenere: DRAMMATICO

Tratto da: TRATTO DAL ROMANZO “PICCOLA PRETURA” DI GIUSEPPE GUIDO LO SCHIAVO

NOTE

– NASTRO D’ARGENTO SPECIALE (1949) PER “LE ELEVATE QUALITA’ ARTISTICHE”

– NASTRO D’ARGENTO A MASSIMO GIROTTI(MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA) E A SARO URZI’(ATTORE NON PROTAGONISTA).

Massimo Girotti – Saro Urzì
Charles Vanel

NOTA CRITICA-INFORMATIVA

«La forza dell’uomo civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la violenza fisica e morale»

Accursio Miraglia, sindacalista e dirigente comunista ucciso dalla mafia

Il 4 gennaio 1947 veniva ucciso dalla mafia, a Sciacca, il sindacalista e dirigente comunista Accursio Miraglia, punto di riferimento per il movimento contadino che combatté per avere la terra. Un anno e mezzo dopo, nell’estate del 1948, proprio a Sciacca iniziarono le riprese del film In nome della legge. Pietro Germi, che si cimenta per la prima volta con le problematiche sociali e civili della Sicilia, sulle quali ritornerà poi con Il cammino della speranza, affronta e denuncia la mafia adattando per il cinema il romanzo “Piccola pretura” di Giuseppe Guido Lo Schiavo, un ex magistrato che aveva raccontato la sua esperienza di pretore in un paesino dell’ennese, Barrafranca. Con le case basse e i suoi muri tirati a calce, le lande desertiche e assolate della campagna agrigentina, le enormi masserie di pietra, si aveva l’idea di essere in un luogo misterioso e tragico dove i gabellotti del feudo, con il loro codice d’onore e le loro leggi non scritte, garantivano un forte assoggettamento dei contadini, sancendo di fatto l’alleanza tra agrari e mafiosi. Girato in pieno periodo neo-realista, Germi riesce a “smarcarsi” dagli stilemi tipici del neorealismo, anche se marginalmente qualche influsso si può osservare come quello della scelta di utilizzare in molte parti del film volti anonimi, attori non professionisti del luogo. L’ambientazione offerta dal paesaggio agrario e urbano siciliano- nel prologo al film una voce fuori campo definisce la terra siciliana «una sconfinata solitudine schiacciata dal sole […], un mondo misterioso e splendido di una tragica ed aspra bellezza» – permette di stabilire un parallelismo geografico e stilistico con i canoni narrativi e i procedimenti stilistici del cinema classico americano, in particolare il western di John Ford. Le modalità del western sono presenti in molte sequenze: l’arrivo del nuovo pretore in una stazione ferroviaria completamente deserta, deciso a stroncare i soprusi dei mafiosi e a far trionfare la legge, rimanda al ritorno dello sceriffo in lotta contro l’illegalità dei banditi; la piana assolata e brulla  dell’agrigentino, dove avviene l’uccisione del carrettiere, fa da contraltare alla Monument Valley; l’apparizione dei mafiosi che spuntano dalla cima di una collina, a cavallo e con i fucili in spalla come indiani o forse più propriamente come banditi, è tipica della frontiera; l’isolamento e la solitudine della figura del pretore, che cammina a schiena dritta, cappello in testa, deciso a far rispettare la Legge in un ambiente omertoso, ricorda lo sceriffo Will Kane di Mezzogiorno di fuoco. Il finale un po’ ambiguo è stato criticato da Sciascia e in particolare dal giudice Roberto Scarpinato nel saggio “Mafia in cerca d’autore”, apparso qualche anno fa sulla rivista “Micromega”: «I mafiosi vengono raccontati nel film [In nome della legge, ndr] come immersi nel mito: fuorilegge ma anche giustizieri, uomini d’ordine con un proprio codice d’onore, e con un rigoroso rispetto per gli avversari che sanno combattere lealmente. Milioni di italiani introiettano così negli anni Cinquanta come verità la favola sulla mafia costruita dal potere costituito e veicolata da un insospettabile come Germi. Una favola western ambientata in Sicilia con un epilogo utopistico e consolatorio: il capomafia che si toglie il berretto di fronte al giovane magistrato coraggioso e con tono da John Wayne esclama: “È ora di rientrare nella legge». Resta il fatto che mai il tema della mafia era stato trattato esplicitamente e il film sarà un punto di riferimento per quei film di denuncia sociale, politica e civile dei vari Rosi, Damiani, Petri e altri. Nonostante vi siano alcuni momenti di debolezza (la possibile storia d’amore tra il pretore e la baronessa Lo Vasto, infilata dentro per necessità commerciali), il film è serrato nel ritmo, spettacolarmente rigoroso ed efficace, il paesaggio avvalorato magistralmente dalla bella fotografia di Leonida Barboni, che sa come usare le luci. Interessanti alcune ricerche formali e pittoriche, di composizioni architettoniche e scenografiche: si vedano certe angolazioni (il carrettiere visto attraverso le gambe del bandito con la doppietta puntata), certe inquadrature della piazza paesana, con la chiesa che domina e le donne sedute contro i muri, oppure l’introduzione del barone, all’inizio, visto di riflesso, sullo specchio. Massimo Girotti, nel ruolo del magistrato irreprensibile e rigoroso, mi sembra un po’ sopra le righe mentre sono da sottolineare la prova di Saro Urzì, efficace e bravissimo nei panni del maresciallo e quella del magnifico Charles Vanel che interpreta il capo mafioso. Interessante anche il resto del cast: il regista Camillo Mastrocinque interpreta molto bene la parte del Barone Lo Vasto, e ben caratterizzate sono le figure dei mafiosi, dell’avvocato, del sindaco, del cancelliere, fino allo sfortunato Paolino. Il film potete vederlo su RAI play.

Mimmo Gagliostro

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