ITALIA, SPAGNA, FRANCIA – 1965
L’ingegner Enrico Marletti (Enrico MariaSalerno), approfittando di due giorni di vacanza, decide di far visita alla moglie Giuliana (Sandra Milo) in villeggiatura sull’Adriatico. Lasciata Roma si trova immerso nella frenetica atmosfera d’una spiaggia in “alta stagione”, fitta di gente pettegola, noiosa, invadente, che per divertirsi s’adatta ad ogni sciocca, spossante occupazione. Enrico non tarda ad accorgersi che Giuliana è a disagio. Geloso, crede di individuare in Sergio (Jean Sorel), un “latin lover” balneare, la cagione del turbamento. In verità un corteggiatore c’è, si tratta del conte Bellanca (LelioLuttazzi), un personaggio che tenta di conquistare Giuliana ricorrendo ai poeti “impegnati”, con il segreto proposito di ricavare dall’avventura qualche buon affare dato che il conte fa l’antiquario. La situazione devia dalla china pericolosa lungo la quale sembrava scivolare. Rasserenato, l’ingegner Marletti tornerà a Roma, dove finalmente potrà concedersi un lungamente vagheggiato sonno ristoratore.
Regia: Dino Risi
Attori: Enrico Maria Salerno – Enrico Marletti, Sandra Milo – Giuliana Marletti, Daniela Bianchi – Isabella Dominici, Trini Alonso – Clelia Valdameri, Alicia Brandet – Ingrid, vicina di camera, José Calvo – Commendatore Tagliaferri, Pedro De Quevedo – Gustavo Valdameri, Lelio Luttazzi – Conte Antonio Bellanca, Raffaele Pisu – Pasqualino, Leopoldo Trieste – Professore Ferri, Véronique Vendell – Giuliana, Jean Sorel – Sergio, Ana Castor – Signora Pollini,
Soggetto: Ennio De Concini, Dino Risi
Sceneggiatura: Ennio De Concini, Dino Risi
Fotografia: Armando Nannuzzi,
Musiche: Lelio Luttazzi
Montaggio: Franco Fraticelli
Scenografia: Maurizio Chiari
Arredamento: Bruno Cesari
Costumi: Maurizio Chiari
Durata: 97′Colore: B/NGenere:COMMEDIA
NOTA CRITICA- INFORMATIVA
“Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli…”
Luciano Bianciardi da “La vita agra”
Era il 25 maggio del 1959 quando il corrispondente del quotidiano inglese Daily Mail scrisse della crescita dell’economia italiana: ”il livello di efficienza e di prosperità del potenziale produttivo dell’Italia – si leggeva nell’articolo – è uno dei miracoli economici del continente europeo”. Il cosiddetto boom, che durò pressappoco fino al 1963-64, produsse grandi cambiamenti sociali e culturali ed ebbe come conseguenza un innalzamento del tenore di vita degli italiani. Nelle sale cinematografiche, in attesa del film, la Settimana Incom ci prospettava un futuro radioso a portata di tutti. Basta ricordare i cinegiornali “Un auto per tutti” (1964) o “Pensiamo alle signore”, (1964) dove i maghi della moda pensano alla eleganza delle donne. Luciano Bianciardi, con il suo romanzo autobiografico “La vita agra”, getta uno sguardo sulle conseguenze umane e sociali del boom economico italiano, e sull’Avanti, quotidiano del Partito socialista, stigmatizza la frenesia delle donne milanesi affette dal «il tic del borsellino» e dall’ “epidemia del sabato”, cioè dall’ossessione di comprare di tutto, svuotando i supermercati. Se è vero che il cinema è stato ed è lo specchio della società, Dino Risi, con la sua commedia amara e grottesca, L’ombrellone, ci offre un quadro socio-antropologico dell’Italia del boom. In L’ombrellone la frenesia consumistica è rappresentata dalle vacanze sulla riviera adriatica, caotiche e caciarone, vissute come un imperativo sociale da quella mediocre, rampante, pettegola (eccezionale la signora Clelia, interpretata dalla spagnola Trini Alonso) avida, rapace e stracciona borghesia che ha l’alfetta in garage, che si ritrova sugli yacht tra divertimenti idioti, che passa la serata nella balera e poi va sulla riva del mare in attesa dell’alba, che affolla aste di pezzi d’antiquariato allestite dal conte Bellanca (Lelio Luzzatti) che spera in qualche allocco, a partire dall’immalinconita Giuliana (Sandra Milo) che si sente trascurata – non senza ragione – dal marito ed è attratta dal conte che la irretisce con le poesie d’amore di Pablo Neruda e potrebbe forse lasciarsi andare a un amore vacanziero, se solo non fosse una piccola borghese. Risi ci riporta in un certo modo ai temi di Il sorpasso, il suo film più riuscito, allargandone la prospettiva: dal crash del singolo individuo a quello della collettività, in modo particolare al crash della borghesia rampante che scalciava per emergere e che viene messa alla berlina per i suoi tanti vizi, per le sue ipocrisie e le sue contraddizioni. Incompreso e sottovalutato all’epoca, L’ombrellone, uscito nel 1965, chiude un’epoca, suggella una stagione: la villeggiatura degli anni del boom. È infatti ormai tempo di «congiuntura», la festa sta ormai volgendo al termine, si parla di crisi: per i ricchi divertirsi è ormai soltanto un imperativo, un vano tentativo di allontanare i fantasmi del declino (<< Va tutto in malora, siamo obbligati a metterci in mostra per fare far vedere che siamo ancora belli, sani e con la grana>>) dice il commendatore Tagliaferri all’inquieto ingegnere Marletti (Enrico Maria Salerno). Di lì a poco inizieranno gli anni della contestazione giovanile e operaia. Straordinario Enrico Maria Salerno nei panni di un personaggio consapevole del vuoto che lo circonda, coscienza critica del carrozzone borghese dal quale vorrebbe scendere, ma incapace di ribellarsi al conformismo del proprio ceto. L’ombrellone è un film dimenticato ma a suo mondo fondamentale, rappresentazione plastica di una borghesia appena nata e già in crisi. Assolutamente da rivedere o da scoprire. Lo troverete su Rai play.
Mimmo Gagliostro