Soprattutto per il microclima delle nostre zone (tutta la piana di Gioia Tauro sino a raggiungere una certa altitudine delle falde dell’Aspromonte), le cultivar storicamente presenti , ottobratica e sinopolese, hanno sviluppato degli alberi molto alti (spesso più di 12-15 metri) e di durata plurisecolare, certamente belli da vedere, ma che hanno sempre reso impossibile una raccolta razionale delle olive.
Escludendo gli ultimi dieci/quindici anni in cui, con l’avvento degli scuotitori, la raccolta conseguente alla caduta forzata delle olive, poteva essere “programmata”, da sempre la stessa era stata solo consequenziale alla casualità degli eventi atmosferici, soprattutto il vento, che con la loro azione facevano cadere le olive dagli alberi. In posti diversi dal nostro, dove lo sviluppo degli alberi di ulivo in altezza non è eccessivo (4-6 metri) la raccolta è sempre avvenuta o per abbacchiatura o brucatura. Con la prima si abbattono i frutti colpendo i rami con lunghe pertiche di legno e con la seconda il frutto viene staccato dalla pianta o con le mani o con l’ausilio di attrezzi come pettini o rastrelli.
Prima della “rivoluzione” delle reti, avvenuta negli anni settanta del secolo scorso, la raccolta delle olive è stata effettuata per “millenni”, direttamente a terra, dopo la loro caduta, o a mano o con le “scope” .
Viene da sé che i terreni sotto gli ulivi dovevano essere accuratamente puliti dalle erbe e preparati in modo tale che il loro anche lieve dislivello, unito alla forza dell’acqua piovana, non disperdessero le olive . Questa preparazione dei terreni avveniva nei mesi di ottobre e novembre, rigorosamente a mano, con la “rampa”, effettuata con una zappa particolare che praticamente recideva poco più che la parte aerea delle erbe infestanti , essendo, per ovvi motivi , controproducente che il terreno venisse smosso , e con il terreno suddiviso in tantissime “caselle” di forma quadrilatera con i perimetri costituiti da piccoli dossi di terra. In questo modo le olive cadute non potevano uscire dalla “casella” rotolando. Quando le olive cadute erano in numero tale da garantire un certo guadagno, oltre le spese di raccolta, le donne provvedevano a raccoglierle a mano e poi a pulirle. Non c’era grande fretta a portare queste olive al frantoio (anche per il sovraccarico di lavoro dei pochi frantoi esistenti ) e l’olio prodotto era solitamente di scarsissima qualità e poco adatto al consumo diretto. I frantoi erano costituiti essenzialmente da una macina in pietra (prima a movimento animale e poi meccanico) e da alcune presse (prima manuali a “saltarelli” e poi idrauliche) e da alcune vasche in cui l’olio veniva separato dall’acqua per galleggiamento. La quasi totalità di questo olio, solo casualmente buono per il consumo diretto nell’alimentazione, veniva venduto, sino agli inizi del secolo scorso, per le illuminazioni delle strade (lampante) o per produrre il famoso sapone “marsiglia”. Poi è stato utilizzato per il “taglio” con altri oli o, soprattutto dopo i processi di disacidificazione, raffinazione, rettificazione,… , per essere commercializzato come olio di oliva. Per inciso un olio con acidità inferiore ad 1,5 gradi, ottenuto solo dalla molitura delle olive, si chiama “extravergine”, mentre un olio che ha subito processi di disacidificazione ecc., viene chiamato “olio di oliva”.
Si può immediatamente intuire che questa fosse un tipo di agricoltura dai guadagni estremamente ridotti per cui, per “viverci”, era necessario il latifondo e uno sfruttamento sistematico della mano d’opera. Normalmente i grossi proprietari terrieri vendevano, in base ad una perizia fatta da esperti, i frutti pendenti a terzi (gabbella , gabbelloto) che poi provvedevano con manovalanza propria, alla raccolta. Spesso il gabbelloto non moliva le olive ma le vendeva al frantoiano, stipulando un prezzo valido per tutta l’annata, per tenere conto della diversa resa delle olive in olio, nelle diverse fasi di maturazione.
Dagli anni sessanta in poi (del secolo scorso) questa raccolta a terra è stata razionalizzata dall’avvento delle reti che hanno permesso di raccogliere olive abbastanza pulite, essendo mescolate solo con foglie , erba e rametti , e, soprattutto, di “tornare” per la raccolta nello stesso fondo abbastanza rapidamente.
Per inciso: prima del cambiamento di clima che ha colpito anche le nostre zone con un aumento non banale della temperatura nell’ultimo trimestre dell’anno solare, l’olio prodotto dalle olive cadute aumentava di (circa) una “linea” (1/10 di grado) di acidità per ogni giorno trascorso dalla caduta alla “molitura”. Quindi, se si passava a raccogliere le olive in uno stesso fondo ogni quindici giorni, si poteva ragionevolmente ipotizzare, per la scalarità delle cadute, di produrre un olio di acidità inferiore ad un grado e mezzo. E abbastanza spesso si poteva raggiungere un valore di acidità inferiore al mezzo grado, raccogliendo subito dopo un periodo di forte vento.
E’ anche di quegli anni l’idea di una ventola che con l’azione dell’aria pulisse rapidamente le ulive. Queste macchinette, spesso auto costruite, diventarono d’uso generale per piccole e medie quantità di olive. Per i motivi suddetti, in quegli anni e sino alle soglie del nuovo millennio, la qualità dell’olio ottenuto nelle nostre zone è aumentata considerevolmente, anche per il proliferare di nuovi frantoi che consentivano tempi di attesa per la molitura inferiori alle 24-48 ore. E’ ancora di quegli anni l‘avvento degli aiuti europei alla produzione che apportavano un ulteriore guadagno (non banale) ai produttori . Un altro aspetto rilevante della nostra agricoltura è stato che i terreni non più coltivati a vigneto sono stati convertiti ad uliveto e quindi questa è diventata la coltura di gran lunga dominante delle nostre zone.
La più distruttiva delle malattie o dei parassiti che aggrediscono le olive è certamente la lebbra. Si tratta di un fungo che si propaga in maniera estremamente virulenta con il caldo umido, cosa assolutamente normale nelle nostre contrade. Il fungo penetra nella drupa attraverso piccole ferite provocate da attacchi diversi, ad esempio la puntura della mosca olearia, l’occhio di pavone,… La mosca , presa a sé stante, provoca praticamente solo una perdita del prodotto senza intaccare la qualità dell’olio. L’attacco della lebbra, invece, provoca marcescenza e innalzamenti vertiginosi dell’acidità.
Al momento combattere la lebbra sembra una battaglia persa in partenza. Sino alla fine del secolo scorso qualche trattamento di fitosanitari a base di rame era sufficiente a tenere sotto controllo la proliferazione del fungo della lebbra (Colletotrichum gloeosporioides, C. acutatum ). Oggi non è più cosi, soprattutto a causa del caldo umido persistente anche nel mese di novembre. Al momento, visto che l’attacco del fungo aumento con la maturazione delle drupe, si può mitigare l’attacco solo prevenendolo con la raccolta di olive acerbe.
Certamente la causa principale è l’aumento della temperatura, ma anche la scarsa remuneratività economica nel fare: i trattamenti contro il fungo, la mosca e le altre malattie che certamente ne facilitano l’attacco, le potature per arieggiare le chiome, la distruzione immediata di tutto il materiale infetto, ecc. E poi, comunque, l’estrema particellizzazione dei terreni vanificherebbe qualunque lotta che non sia generalizzata.
Oggi è praticamente impossibile ottenere un olio per il consumo diretto, e quindi abbastanza sotto i tre gradi di acidità, aspettando che le olive in qualche modo cadano da sole. Le olive vanno fatte cadere acerbe (mese di ottobre) con gli scuotitori ed immediatamente portate alla molitura. Va da sé che, per la naturale “tenuta” all’albero delle olive acerbe, lo scuotitore, per non rovinare l’albero ed anche per non aumentare considerevolmente i tempi di raccolta e quindi i costi, non può fare cadere più di un 40-50% delle olive. Le olive restanti vanno praticamente perdute perché, anche se raccolte e vendute, non possono produrre un guadagno che faccia recuperare le spese di raccolta (olio certamente destinato all‘ammassso a non più di 140 euro a quintale).
Forse con una lotta sistematica e generalizzata , da condursi con l’ausilio di elicotteri o aerei, la lebbra (lupa, in gergo locale) potrebbe essere vinta o almeno tenuta sotto controllo. Questo aumenterebbe in maniera considerevole i tempi buoni per la raccolta con gli scuotitori. Se con questo controllo si raggiungesse il freddo invernale, la “lupa” non potrebbe più fare danno e ci sarebbe la possibilità di avere ottime olive da molire (come prima del 2000) sino ai mesi di marzo/aprile e il metodo di raccolta delle olive potrebbe anche tornare ad essere quello di lasciarle cadere e poi raccoglierle con le reti. In queste condizioni , penso che la cosa migliore sarebbe fare ad ottobre, con le ulive ecerbe, un “verdone” (praticamente a zero gradi di acidità, di colore verde smeraldo intenso, con un marcato profumo di oliva fresca , corposo e con un retrogusto amaro e piccante) con il 40-50% delle olive, e poi raccogliere con le reti le restanti per produrre un olio meno fruttato, di colore paglierino, di 1-2 gradi di acidità, da “tagliare” con il verdone. Certamente, a secondo dei gusti, potrebbe anche essere possibile una commercializzazione diversa dei due tipi di olio. Questo oggi è un sogno. Era possibile sino a dieci anni fa, ma allora non c’erano gli scuotitori.
L’unica realtà possibile oggi è fare il verdone ad ottobre con circa il 50% delle olive e abbandonare il resto. Vedremo tra poco perché anche questo è molto vicino ad essere più sogno che realtà.
Certamente la situazione odierna degli uliveti nella piana di Gioia Tauro è “tragica” e questo comporterà il quasi totale abbandono di questa coltura nei prossimi anni, se non si troveranno soluzioni. L’abbandono non è ancora avvenuto in maniera massiccia solo per il permanere degli aiuti europei che, pur essendo estremamente inferiori a quelli precedenti agli anni duemila, danno, comunque, ancora soldi sufficienti per coltivare, anche se al minimo, gli uliveti, in attesa di qualcosa che cambi la triste realtà odierna.
Un’analisi dei costi, comprensivi di mano d’opera , contributi agricoli, abbattimento delle olive con scuotitori, trasporto, pulizia olive e molitura, porta ad una spesa di circa 200-250 euro a quintale per un olio extravergine ottenuto con frantoi a gramolatrice, pressa continua e separatore a centrifuga. Questo tipo di molitura ha il grande difetto di preriscaldare la pasta di olive, soprattutto durante la gramolatura (per facilitare la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione e dalla polpa) per circa un’ora a circa 40 gradi. Quindi l’olio subisce una preventiva “cottura” (a 40 gradi) che limita un po’ la sua qualità. E’ certamente da preferire una molitura a freddo, in cui l’olio in tutta la fase di lavorazione non subisce temperature superiori ai 30 gradi (considerato il punto critico) a discapito di un po’ di resa in quantità, certamente compensata da una qualità migliore. Una lavorazione delle olive a freddo (frangitura, gramolatura a freddo, presse idrauliche, oppure “sinolea” ) comporta una minore meccanizzazione e quindi un processo discontinuo e un apporto maggiore di manodopera e quindi un aumento dei costi di produzione. Comunque, cosa assolutamente da non sottovalutare è che, mentre un impianto a ciclo continuo è qualcosa di “semi-industruiale” adatto a grandi produzioni , e quindi a grandi aziende , cooperative o per il lavoro in conto terzi, la molitura a freddo ha l’enorme vantaggio di poter essere effettuata con macchinari dal costo accessibile a piccole e medie aziende agricole.
Un quintale d’olio costa al produttore da 200 a 300 euro (a seconda del sistema di molitura e dal livello di ottimizzazione del ciclo di lavorazione). L’unico sbocco “certo” alla vendita è l’ammasso che oggi ha un prezzo di acquisto altalenante tra 130 e 160 euro a quintale. Anche considerando l’aiuto comunitario, produrre un quintale di olio oggi vuole, certamente, dire rimetterci di tasca.
Per la sopravvivenza della coltivazione dell’ulivo nelle nostre terre è indispensabile che questa rimessa certa di denaro da parte del produttore cessi e si arrivi invece a produrre con un discreto guadagno.
Le vie da battere sono due interdipendenti, nel senso che non può bastarne una sola. Lapalissianamente bisogna sia diminuire i costi di produzione , sia aumentare il prezzo di vendita.
I costi di produzione possono diminuire solo se i produttori possiedono i “mezzi agricoli” necessari : frantoio, trattori, scuotitori,… In questo caso, il prezzo pagato per i mezzi agricoli necessari alla produzione si limiterebbe a: l’ammortamento del prezzo di acquisto, il pagamento degli addetti ai mezzi, le riparazioni e le spese di gestione (elettricità, gasolio,…), la costruzione o l’affitto del capannone per il frantoio e, infine, alla mano d’opera comunque necessaria . L’estensione media della proprietà agricola nel nostro comprensorio non supera l’ettaro. Pochi , sommando tutte le particelle in loro possesso, possiedono alcuni ettari, pochissimi sono proprietari di qualche decina di ettari.
E’quindi ovvio e imprescindibile che per realizzare la diminuzione dei costi di produzione siano necessarie delle cooperative che gestiscano alcune centinaia di ettari.
Con queste cooperative potremmo sperare di ridurre i costi di produzione di un buon 20-30% il che ci porterebbe, bene che vada, ad uscire in pareggio con i prezzi di acquisto dell’olio all’ammasso. Visto che nessuno può produrre con la sola speranza di uscire in pareggio, questa operazione sarebbe praticamente inutile se non supportata da un aumento del prezzo di vendita.
E’ necessario abbandonare la “certezza” della vendita all’ammasso e “rischiare” il confronto con il mercato. Un produttore isolato, anche se estremamente intelligente e capace, e quindi in grado di creare una buona nicchia di mercato per il suo prodotto, potrà risolvere i suoi problemi personali ma sarà comunque ininfluente alla soluzione del grande problema della olivicoltura nella piana di Gioia Tauro.
Con l’ausilio degli scuotitori nel mese di ottobre e di una parte di novembre, quasi tutti gli ulivi della piana di Gioia Tauro sono immediatamente in grado di dare olive per la produzione di un ottimo olio ecologico, extravergine da molire a freddo. Il “quasi tutti” dipende esclusivamente dalla conformazione del terreno che potrebbe impedire l’operatività degli scuotitori. Per inciso bisogna dire che, per un’ottimizzazione della operatività degli scuotitori, gli alberi di ulivo dovrebbero avere una certa conformazione fisica . L’ulivo dovrebbe avere il tronco che si suddivide in pochi rami tutti raggiungibili da un’unica posizione dello scuotitore senza costringerlo a movimenti attorno all’albero. Cosa immediatamente realizzabile, se necessario, con una potatura mirata allo scopo.
Il produttore isolato che ha la possibilità di vendere nella sua personale nicchia di mercato l’olio prodotto, o almeno parte di esso, per ovvie leggi di mercato, vende al massimo di quanto i suoi compratori siano disposti a pagare. Avendo, comunque, da vendere una quantità abbastanza limitata di olio non è molto interessato ad abbassare i prezzi per aumentare il numero di clienti.
A prescindere da prezzi da “nicchie“ e da prezzi d’ammasso, un prezzo finale (al consumatore), che tenga conto di un guadagno al produttore di 150-200 euro a quintale, e di altri 200-300 euro per spese e guadagni del confezionamento in bottiglie o lattine e di una filiera corta per raggiungere il consumatore , potrebbe attestarsi sui 6-7 euro al chilo, con soddisfazione di tutti. ( un litro di olio pesa circa 0,92 kg.)
Certo questi calcoli presumono che il produttore venda “tutta” la sua produzione (di qualità) ai prezzi suddetti e che il mercato sia in grado di assorbire il quantitativo prodotto. Presume anche che il mercato sia in grado di apprezzare ed avere discernimento tra un olio di qualità ed un olio inferiore venduto a prezzi più bassi. Altro discorso che si dovrebbe e potrebbe fare è quello di salvaguardare in qualche modo la produzione locale, in tempo di mercato globale in cui siamo invasi da produzioni straniere spesso avvantaggiate dallo sfruttamento della manodopera, da tasse molto minori, dalla potenza dell’euro,…
La soluzione per l’olivicoltura della piana di Gioia Tauro è quindi semplice e, sembra, a portata di mano.Tralasciando i piccolissimi uliveti che producono poco più del fabbisogno famigliare, i proprietari di tutti gli altri dovrebbero consorziarsi, sia per la produzione sia per la commercializzazione del loro prodotto. Sperare che qualcun’altro crei un ammasso (o conferimento) per l’olio di qualità, con prezzi accettabili per il produttore, mi sembra alquanto improbabile. I nostri problemi dobbiamo risolverceli noi!
Palmi 29 novembre 2011 – Gustavo Forca
____________________________________________________________________
Grazie per le utili notizie sulla produzione, raccolta e trasformazione delle olive la cui commercializzazione richiede un’articolata politica agricola e di marketing del nostro governo regionale, che coadiuvi,l’indispensabile presenza di cooperative, la cui costituzione risulta necessaria per l’abbattimento dei costi e la qualità del prodotto.Due fattori, la cui carenza ha sempre impedito ogni tipo di sviluppo agricolo che avrebbe costituito un importante introito economico per la nostra regione.
Ho apprezzato molto l’articolo, è davvero interessante… Ma vorrei capire: perché se per risolvere i problemi sarebbe sufficiente creare le suddette cooperative, esse non sono diventate una realtà generalizzata?
Nel circondario, qualche cooperativa di olivicoltori si è formata ( che io sappia, nessuna a Palmi), ma il problema non è di facile soluzione. Assieme a qualche amico ( olivicoltore) abbiamo cercato diverse volte di crearne almeno una a Palmi che poi facesse da carro trainante, ma abbiamo raccolto solo una serie di fallimenti. Comunque ai tempi delle nostre esperienze, potevamo anche sopravvivere senza , adesso che, credo, sia condizione indispensabile alla nostra “sopravvivenza” forse dei nuovi tentativi potrebbero avere maggiore successo.
In maniera succinta queste sono alcune delle problematiche da affrontare:
• A causa dell’estrema particellizzazione delle proprietà, per fare una cooperativa che gestisca qualche centinaio di ettari… bisogna mettere d’accordo almeno cento “teste”
• Certamente i bisogni e le aspettative sono diverse tra un proprietario di 2-3 ettari , uno di 10-15 ed uno di 20-30 …… difficile conciliare!
• L’esagerato attaccamento alla proprietà, per cui su quello che è mio “decido solo io”… inconciliabile con discorsi di cooperazione
• Certamente una generalizzata mancanza di fiducia
• La necessità di autofinanziarsi ( in gran parte sono finiti i tempi in cui lo Stato o la Comunità Europea finanziavano tutto)
• L’assoluto “abbandono” delle istituzioni ( spero che “pinoipp” sia buon profeta e che quanto dice nel suo commento si avveri )
Una disamina davvero interessante dei problemi della nostra olivicoltura (che è una porzione significativa dell’economia locale) insieme a concrete proposte per una soluzione.
Penso, spero replicando anche a Nino, che le istituzioni pubbliche possano svolgere un compito decisivo nel far crescere la cultura del cooperativismo, in primo luogo informando dei vantaggi che l’intera comunità di coltivatori può trarre. Non solo. Le istituzioni possono determinare condizioni di favore, anche fiscale, e offrire ai cooperanti la opportuna collaborazione sotto il profilo giuridico e amministrativo.
E’ una testimonianza molto interessante ed esplicativa. Per queste sue peculiarità ,dovrebbe e potrebbe diventare oggetto di attenzione e studio nelle scuole, al fine di poter iniziare un lungo percorso didattico che, oltre alla semplice informazione possa divenire un momento formativo per ripristinare nelle nuove generazioni la passione e l’interesse attivo per la cultura agricola e contadina. Così, oltre al perpetuarsi di una tradizione locale, squisitamente peculiare di tutta l’area della Piana, la tematica potrebbe divenire punto di partenza per sbocchi occupazionali concreti, se si riescono a coinvolgere le Istituzioni in un progetto di larga portata.
Altrimenti, perchè dovrebbe essere sepolta o affossata da interessi non sempre sani una risorsa
così radicata nel territorio e foriera di crescita e sviluppo per le future generazioni?
Interessante articolo. Confesso che non conoscevo per niente tale argomento. Penso, pertanto, che l’argomento debba essere divulgato in modo tale che ognuno di noi ( ogni calabrese ) possa avere almeno una conoscenza minima in questa materia.
L’ulivo costituisce una considerevole ricchezza della nostra terra. Non è giusto, pertanto, che vada perduto per le ragioni che Gustavo ha brillantemente spiegato.
Le società cooperative da costituire, con lo scopo principale di ridurre i costi di produzione, sarebbero a mio parere, l’unica via d’uscita alla soluzione del problema.
Anche se credo non sia cosa facile mettere d’accordo “ 100 teste “ di marca “calabrese”, è a mio parere l’unica strada da percorrere.
Ho letto le analisi di Gustavo circa le condizioni economiche necessarie per ottimizzare la produzione dell’olio di oliva dalle nostre parti. Le ritengo interessanti anche se non tengono conto del fatto che ormai nessuno dei proprietari terrieri si può ritenere realmente tale. Ormai non vi è contrada del nostro territorio palmese, o più in generale pianegiano, immune da furti e da danneggiamenti. Mentre in altre parti d’Italia gli operatori economici si misurano solo con il mercato e le sue crisi da noi i proprietari di fatto non sono tali; e’ già tanto se ogni mattina riescono a trovare i terreni, le cantine, i depositi nelle condizioni in cui li hanno lasciati il giorno precedente. La vicenda dei cavi elettrici rubati che ha messo in ginocchio, dal punto di vista idrico, mezza città di Palmi è emblematica. Questo increscioso fatto di cronaca ha reso di pubblico dominio il problema, ma posso garantire che centinaia di fatti simili accadono durante l’anno ma non hanno altrettanta risonanza. Di tutto si può accusare l’operatore economico: poca propensione verso il fenomeno cooperativistico, non aggiornamento scientifico, ecc. Ma non gli si può chiedere di diventare sceriffo a difesa dei propri beni. Ritengo che al momento può operare nel settore solo colui che si trova nelle seguenti condizioni: abita nei pressi del suo terreno e può quindi esercitare un relativo controllo dei beni, ha una discreta superfice coltivata, ha una solida posizione economica, ha accanto diversi componenti della famiglia disposti a investire lavoro, tempo e denaro nell’attività agricola, possa diversificare gli investimenti con attività affini come ad esempio l’allevamento di animali.
E’ indubbio che Il furto sia un’avvenimento costante e non episodico delle nostre campagne. Soprattutto dall’imbrunire sino all’alba le campagne diventano “terra di nessuno”. Ricordo che nei miei anni giovanili c’era la “guardiania” …. Si ha un po di tranquillità solo vicino a qualche agglomerato di case abitate. E’ “sempre” stato cosi, certo il massiccio abbandono delle campagne ha aumentato il fenomeno,e, d’altronde, la capillarità del fenomeno impedirà il ripopolamento delle campagne.
Comunque per quanto riguarda le cooperative finalizzate alla coltura dell’ulivo e alla raccolta con lo scuotitore, il fenomeno sarebbe abbastanza marginale, per la difficoltà di rubare le olive dall’albero e perché, ovviamente, tutti i “mezzi” a sera tornerebbero a “casa”.
A conferma per quanto detto nel mio commento dell’otto dicembre devo aggiornare i lettori del sito circa ulteriori e ripretuti furti con scasso, quasi a tappeto, avvenuti in località Strazzata di Palmi in queste ultime nottate.
Mimmo Surace.
Sai, per le feste… bisogna provvedere!!E’ davvere molto triste e demoralizzante!
Scusate se insisto. Mi arrivano notizie di ulteriori furti nelle nostre campagne. Zone: parte bassa Cittadella e Torre Spinelli ( dovè ? : statale 18 più sotto bivio di S. Elia). In quest’ultimo caso con scasso di un casolare e furto di ogni cosa.
Forse non è stato detto, ma le cronache giudiziarie del nostro territorio segnalano il fenomeno molto diffuso dei casolari di campagna come ricettacoli di armi e droga: una vera risorsa finanziaria. Ciò indica che le campagne vanno completamente rivalutate con un nuovo corso. Io ci vedrei, come succede in altre realtà, sì un discorso di interesse agricolo in senso tradizionale, ma accompagnato da una strategia turistico-culturale.
Sì, si potrebbero utilizzare per fare cooperative di agriturismo e B&B.
Ma non solo. Potrebbero essere organizzati e strutturati per dare degnamente e umanamente alloggi ai migranti, permanenti e stagionali.
Esposizione chiara e molto interessante. L’ulivo è economia, natura, storia, simbolo da sempre di pace, è strettamente legato alla cultura dei Paesi del Mediterraneo. A questo proposito vorrei segnalare che nel volumetto “Alla scoperta delle radici europee” anno 2012 del Touring Club it., c’è un itinerario dedicato proprio a “Le rotte dell’olivo”, oltre ad uno dedicato alla viticoltura. La coltura dell’olivo con strutture, armacie, organizzazione del territorio, scorci panoramici, strumenti per la molitura, trappeti, degustazione e vendita del prodotto, itinerari a piedi in bicicletta a cavallo, è oggetto di studio, di curiosita’, di turismo. Anche il nostro territorio, dopo una attenta organizzazione, potrebbe essere proposto a questo tipo di visita e di turismo.
Concordo con quanto dici, tenendo conto che sino, quasi, ad ottobre, senza problemi, sotto gli alberi di ulivo possono essere praticate altre attività (ovviamente mi riferisco a quelli “vecchi” ad alto fusto) Quelle che tu dici ma anche campeggi o altro.
Salve, ho letto velocemente i vari argomenti della discussione, credo ci sia molta confusione, è cmq un buon inizio. Sono conduttore di un modesto fondo (uliveto) di proprietà della mia famiglia, circa 2 ettari, in contrada Tracciolino di Palmi.Da bracciante agricolo e conduttore, conosco tutte le fasi della lavorazione moderna e antica, purtroppo la meccanizzazione da noi ancora non è arrivata, e dove sembra esserci viene utilizzata con applicazioni errate. Credo sia necessario formare una cooperativa di pochi, ma esperti e ben intenzionati a diffondere, metodi ed esperienze a tutti i piccoli proprietari, che sicuramente troverebbero interesse a non vedere crescere solo il lavoro per tagliare rovi nei loro uliveti. Se interessati contattatemi, rispondete, io sono disponibile al confronto e a lavorare per l’ulivo, senza fine di lucro ma per amore verso questo territorio che nonostante tutto mi tiene legato dal suo fascino particolare.
Vincenzo
Vincenzo, disponibilissimo a confrontarmi con te sulle mie “confusioni” e se sarà il caso cambiare idea. Tu ti presenti come coltivatore di due ettari di uliveto condotto da te ( e famigliari) direttamente, anche io da sempre conduco direttamente qualche ettaro in più. Negli anni d’oro (precedenti al 2003-4 e successivi agli anni settanta secolo scorso) abbiamo innumerevoli volte fatto il tentativo di fare sorgere delle cooperative agricole nel settore olivicolo. Il problema principale è sempre stato lo stesso: diversità di interessi tra i proprietari. A Palmi, per leggi ereditarie, certamente sacrosante, la proprietà si è micronizzata in maniera eccessiva. Gran parte dei proprietari di uliveto non raggiungono l’ettaro di estensione. Si contano sulle dita delle mani coloro che possiedono più di dieci ettari. Coloro che possiedono intorno ad un ettaro non hanno interesse a cooperativizzarsi in quanto la loro produzione serve a poco più del bisogno famigliare (con un surplus vendibile a qualche conoscente) ed è totalmente gestibile dal lavoro famigliare, se vuoi con l’ausilio del “conto terzi “ per una, due lavorazioni di pulizia, zappatura e concimazione con trattore e qualche ora di scuotitore. Quelli che hanno più di dieci ettari (produzioni di olio superiore ai due trecento quintali) se hanno interesse a cooperativizzarsi lo hanno solo fra loro stessi. La fascia intermedia pur essendo abbastanza esigua potrebbe avere interessi in una cooperativa, per abbattere i costi di produzione e per la commercializzazione del prodotto. Per interessare un po’ tutti dovremmo parlare solo di cooperative di conferimento e commercializzazione. Di una cooperativa, cioè, che possa allontanarci tutti dal miserevole ed assolutamente antieconomico prezzo d’ammasso.
Salve, Gustavo, niente di personale nelle mie affermazioni. Conduco il fondo con l’aiuto di una sola persona utilizzando la meccanica agricola con molta precisione e risparmio di spese e tempo, fa parte della mia esperienza, ma avremo sicuramente modo di spiegarci su tutto. Intanto il modello colturale possibile non dovrebbe avere limiti per eccesso o difetto in ettari, purché funzioni …… Vado per grandi linee, se ci troveremo d’accordo avremo modo di approfondire. Proporre a tutti dei miglioramenti è doveroso, ma non tutti hanno l’arguzia come dote innata. Io ho fatto parte di progetti lavorativi in cui il modello operativo non era spiegato, era solo messo in pratica e si invitavano i potenziali, interessati ad assistere allo svolgimento del lavoro, e guardando i risultati ti posso garantire che nel giro di pochi anni si è sviluppata una capacità operativa-professionale di livello discreto, cmq sopra la sufficienza. Certo non mi illudo possa essere cosa facile cambiare la mentalità operativa del contadino-proprietario nelle ns. zone, ma si potrebbe tentare, insieme si possono superare tanti ostacoli. Commercializzazione, conferimento ecc. vanno studiati molto bene, perché il miglior prodotto, senza mercato, è anch’esso un pessimo risultato in termini economici.
Bene, vediamo di analizzare assieme il problema olivicoltura nel nostro territorio. Tralasciamo per ora le attività colturali che ti portano ad avere un prodotto buono, o anche ottimo, a costi non eccessivi, da proporre al mercato. Per ogni attività commerciali il primo dato da tenere presente è la potenzialità che la clientela, facilmente raggiungibile, può sviluppare. E’ ovvio che stiamo per fare un discorso di carattere generale e non di “nicchia”.
Avremo risolto il problema olivicolo del nostro territorio quando un qualunque agricoltore (o almeno la maggior parte) avrà la possibilità di vendere il proprio prodotto ricavandone un minimo di utile netto. Certamente parliamo di olivicoltori che sappiano ridurre al minimo le spese colturali e di trasformazione, non a discapito della qualità del prodotto finale. Conteggiando “tutte” le spese sostenute non credo che si possa avere un quintale di extravergine a molto meno di 250 euro. Questo esclude che l’ammasso possa essere considerato un potenziale cliente dei nostri oli (almeno uguali o superiori alla “mediocrità)essendo il suo prezzo di acquisto una remissione certa. Resta quindi come clientela, facilmente raggiungibile, il consumo locale. Non conosco questo dato (di consumo) ma, a lume di naso, anche ammettendo, e cosi assolutamente non è, che tutti usino olio extravergine prodotto localmente, la percentuale è minima rispetto alla produzione. Tralascio di analizzare la questione per cui, vista l’abbondanza dell’offerta in loco, il prezzo di acquisto sarà comunque non di molto superiore al costo di produzione( certamente inferiore ai 500 euro). Certamente esistono fenomeni di nicchia in cui qualcuno riesce a crearsi un mercato con prezzi superiori per vendere almeno una parte della sua produzione. Converrai comunque che se questo può risolvere qualche problema personale è ininfluente nella risoluzione del problema generale. Quindi concludendo il nostro olio non ha mercato che gli dia un utile abbastanza certo. Certo questo mercato può essere creato da una cooperativa di commercializzazione che possa gestire migliaia di quintali e con essi penetrare mercati al momento “vergini”, come il nostro olio…
Un ultimo appunto, da non sottovalutare. La globalizzazione che riempie, anche, il mondo di prodotti scarsi a scarso prezzo ci imporrà di fare discorsi di qualità ecc ecc
Solo dopo che avremo questo minimo di certezza di vendere il nostro prodotto con un minimo di utile ( che gli olivicoltori avevano prima dell’avvento dell’euro con l’olio venduto all’ammasso a 300/350 mila lire quintale e/o il prezzo a misura (di olive) intorno alle 7 mila lire, e la “vecchia” integrazione) potremo affrontare , e certamente lo faremo di buon grado, poiché nessuno è tanto stupido da limitare il proprio utile, pratiche colturali diverse, ecc.
Vincenzo, a prescindere dai rimedi da adottare per una risoluzione dei nostri problemi che sia il più generale possibile, come dicevo nell’intervento precedente, certamente sarebbe utilissima a molti una tua descrizione delle metodologie e pratiche colturali da te adottate con successo. Se vuoi puoi scriverci sopra un articolo che certamente verrà pubblicato nel nostro sito.
Ok, farò una descrizione sintetica della mia esperienza fatta negli ultimi quindici anni di lavoro agricolo, dando la mia disponibilità ad approfondire ogni singola operazione da me svolta, con chiunque ne fosse interessato. Ho cominciato con l’abbassamento delle piante rispettando le cosiddette “chiamate naturali” della pianta. Questo intervento non è stato sufficiente in quanto le mie piante si sviluppano su un terreno a gradoni più o meno larghi con pendenze in alcuni punti notevoli e lo scuotitore ( che a me non piace) non ha la mobilità necessaria per operare al meglio. Ho risolto il problema raccolta con un impianto ad aria portato dal trattore, al quale si attaccano gli abbacchiatori. Questo sistema mi consente di operare la raccolta fino ai 5 metri di altezza, agevolmente fino a 3,5 metri. Nel raggio dei 3,5 metri la raccolta si svolge in modo agevole, con una capacità di operativa di circa 1 ettaro ogni dieci ore lavorative con quattro abbacchiatori. Da almeno 6 anni utilizzo soltanto la trincia per il diserbo e la cura del terreno. Pulisco con frequenza gli alberi alla base, sto procedendo al livellamento di tutte le piante all’altezza dell’operatività abbacchiatore. Da quest’anno ho ricominciato i trattamenti con la Bordolese e devo dire che portando l’anticipo della raccolta fino ai limiti consentiti dall’andamento delle temperature produco olio di ottima qualità meno di 1 grado, con una resa di circa 2 kg.. olio-misura-olive. Il livello degli operatori di macchina richiesto per l’uso di queste attrezzature è medio, il costo è legato alla potenza dell’attrezzatura che esiste a partire da 1 abbacchiatore fino a 10 e più in linea. Durante tutto l’arco dell’anno provvedo con interventi minimi alla canalizzazione dell’acqua piovana e altre attività di pulizia manuale delle piante de del terreno, faccio analizzare il terreno con cadenza bi-triennale e provvedo ad una concimazione mirata. Non è stato facile raggiungere questo livello operativo, ma è possibile se si interviene spalmando il lavoro nei 12 mesi dell’anno.
Vincenzo, nulla da eccepire sulle tue modalità colturali. E se hai saputo costruirti, anche, una nicchia di mercato per vendere decentemente il tuo extravergine (tipo verdone) ti paghi le spese e ti resta qualcosa. Non mi hai detto che cultivar sono presenti nei tuoi terreni. Sono le solite nostre autoctone ( ottobratica e sinopolese) o altre, diciamo, importate? Visto che parli solo di olio di buona qualità presumo o che ti disinteressi delle olive residue al primo passaggio di abbacchiatura (40,50% della produzione), o che hai cultivar a drupa grossa o che fai una abbacchiatura spinta (con poco residuo di olive sulla pianta). Hai detto che riesci a abbacchiare un ettaro di ulivi in dieci ore lavorative (con quattro operatori ai bracci abbacchianti ad aria compressa e almeno un paio che si interessano della raccolta). Questo vuole dire che dedichi meno di dieci minuti a pianta (calcolando 80,100 piante ad ettaro). Davvero complimenti a te ed ai tuoi operai, visto, anche, che operi in situazione disagiata di terreno non pianeggiante.
Il tuo modello può essere “esportato”? Tu hai certamente di proprietà un trattore almeno attrezzato con “trincia” per le erbe infestanti ( ed eventuali residui di potatura), compressore per gli abbacchiatori e pompa per i trattamenti ( lupa, mosca, occhio di pavone ecc). Questo fatto creerebbe diversi problemi ai proprietari tuoi “pari grado” (uguale numero di ettari) sia per l’acquisto dell’attrezzatura sia per la sua custodia. D’altronde con il lavoro conto terzi è impensabile, economicamente, ad esempio, trinciare tre, quattro volte l’anno per non lasciare troppi residui di erba secca facilmente infiammabile (presumo che i tuoi uliveti non abbiano una totale copertura (ombreggiatura) del terreno ( caratteristica degli uliveti “secolari”) per cui le infestanti crescono (ahinoi)in maniera “rigogliosa”. Altro elemento di spesa notevole, per di più con attrezzatura in “conto terzi”,sono i “trattamenti” è la potatura continua. Ripeto nulla da eccepire sulla tua conduzione degli uliveti ma se non riusciamo a vendere a prezzi decenti o almeno cooperativizzarci per risparmiare sulla coltivazione, è un modello troppo costoso (rispetto ai prezzi all’ammasso, purtroppo unica nostra “certezza”) per essere generalizzato.
Ok, devo riconoscere che le tue affermazioni rispondono totalmente alla realtà storica dei metodi applicati. I costi generali si possono abbattere e di molto, con o senza i contoterzisti. Il metodo che utilizzo è sicuramente esportabile con potenza a partire dal mono operatore, in quanto il livello tecnico-meccanico è davvero elementare. L’abbacchiatura, se la pianta è adeguata nelle misure è totale. Utilizzo e conservazione degli strumenti di lavoro , trattori ecc., è tecnicamente superabile se le distanza tra i fondi per lavorare e il parcheggio custodito non supera i 5/8 km. Grazie per gli operai ma il risultato è più tecnico che umano, giusto per farti capire il livello operativo degli attrezzi. Trinciare, diserbare, trattare, potare più volte o cmq il necessario dipende molto dai tempi di intervento, prima, dopo, durante la fioritura delle erbacce, fa parte della strategia di lungo periodo in funzione degli obiettivi di breve, medio o lungo periodo che ognuno si vuole dare. In effetti per abbattere i costi è necessario cooperare, in quanto solo massimizzando le ore lavorative per tipo lavorazione-macchina si possono ottenere risultati economicamente accettabili. Gli argomenti sono tutti da approfondire, siamo in un periodo valido per fare qualche esperimento tecnico lavorativo c’è il tempo per un minimo di progettazione a breve periodo, io sono disponibile a dimostrazioni, verifiche sul campo sui metodi utilizzati-utilizzabili . Le qualità di cui mi occupo sono le “solite” ottobratica e sinopolese. Non so se tralascio qualche punto ma è quasi l’alba e vado a sistemare i gambitti, visto il periodo di “bella stagione”. Buona giornata a tutti i lettori.
Non ho titolo per entrare nella questione ma posso egualmente apprezzare questa discussione per la competenza e la passione che dimostra; due qualità di cui abbiamo grande bisogno per provare a cambiare Palmi.
Vincenzo, ieri ci siamo incontrati e “riconosciuti”, fuori dal “virtuale”, adesso tutto ha connotazioni più precise. Tu hai una fortuna che praticamente nessun’altro ha: gli ulivi “sotto casa”! Certamente sei svantaggiato per la loro conformazione in pendio ma il vantaggio di averli sotto casa è impagabile! Hai un controllo totale e continuo della situazione sia per quanto riguarda la salute ed i bisogni degli ulivi, sia per l’efficienza e la sicurezza dei mezzi meccanici, il loro impiego immediato, ecc ecc. Purtroppo (per gli altri) questa, ripeto impagabile, caratteristica non è esportabile… Oltretutto, essendo a “casa”, il tempo ( e certamente anche le fatiche) che personalmente gli dedichi non finiscono nel registro delle entrate e delle uscite ma nel piacere hobbistico…
Comunque certamente si possono aprire percorsi sia virtuosi (buona cura degli ulivi ed un corrispondente ottimo prodotto finale) sia economicamente validi. C’è da vincere l’abulia, la disillusione, il personalismo spinto (i beni che si possiedono debbono “anche” avere una funzione sociale), ecc ecc. dei nostri concittadini. La vedo dura, comunque è evidente che almeno parlarne non può che fare bene. E, soprattutto, la cosa più difficile sarà convincere almeno qualcuno dei nostri giovani che fare l’olivicoltore…
Da incompetente in materia, scrivo in modo convinto, che è sempre piacevole leggere argomenti di varia natura se scritti da persone competenti e piene di passione. Faccio i miei complimenti ad entrambi!!
Per me, invece, l’ulivo resta sempre il simbolo dell’immortalità perché è capace di morire in alcune sue parti e, contemporaneamente, di rinascere in altre parti, così come scrissero i nostri antenati greci.
Comunque, ad ogni buon conto, devo confessare che amo molto il gusto dell’olio genuino ( anche con alcuni gradi di acidità): pani, ogghiu, sali, riganu e pipi pistatu e poi…bbaccu ).
Nell’ambito della discussione in atto si allega questo documento redatto dall’Assessorato all’Urbanistica di Palmi: Riunione tecnica sui problemi di agricoltura e forestazione del territorio (2 gennaio 2014)
https://circoloarmino.files.wordpress.com/2014/02/resoconto-riunione-agronomica-2gen14.doc
Relazione agronomica facente parte degli studi preliminari del futuro PSC- dott. agr. Vincenzo Ricciardi:
Fai clic per accedere a e-01-relazione-agronomica.pdf
Gustavo, grande piacere per l’incontro, ma forse immagini una situazione diversa dalla realtà che affronto avendo scelto il lavoro agricolo, non è hobbistica la mia. Ho tutti i problemi che si vivono nelle ns. campagne. Oggi non ce la faccio ma sarò preciso nelle spiegazioni del mio modello di lavorativo. A presto Vincenzo
Vincenzo, mi sono espresso male nella parte “hobbistica” del mio precedente intervento. Volevo dire che ognuno di noi, proprietari-conduttori, nel registro delle entrate e delle uscite non conteggia mai il suo tempo ed il suo lavoro. Anche perchè il tutto dovrebbe rientrare nel guadagno finale dell’impresa. Ma se questo è ridotto all’osso, come lo è per gli uliveti, se non riusciamo a…, non possiamo “monetizzare decentemente” questo tempo ma ascriverlo alla soddisfazione di stare all’aria aperta e pulita, non avere “padroni”, fare esercizio fisico, ecc. Vincenzo ti rinnovo l’invito a fare un’articolo per questo sito, con foto e quant’altro riterrai necessario, sul tuo metodo di buona conduzione dell’uliveto. (armino.discutiamo@gmail.com) Certamente molti, io compreso, avranno da apprendere.
Eccomi, oggi vista la bella giornata, aria pura, riparazione di piccole frane, canalizzazione acque ecc.. Veramente tengo conto di tutte le voci inerenti le fasi lavorative, comprese le mie prestazioni, che però imputo alla fase di lungo periodo e soprattutto mi ripago con la moneta niente padrone, libertà e aria pulita ecc.. Cmq. a parte i fattori noti che hanno indotto tutti noi a questa scelta lavorativa, posso garantire che applicando adeguatamente la meccanizzazione possibile per sito-territorio i tempi di lavoro si abbattono e di conseguenza anche i costi. Purtroppo un minimo di attrezzatura deve essere di proprietà a partire da uno o due ettari in poi, e questo è possibile solo facendo un progetto lavorativo di almeno 10 anni. Io dal 2000, data dalla quale mi sono assunto la responsabilità della conduzione del fondo, dedico una buona parte degli aiuti Agea all’acquisto di attrezzature, che poi vanno ben custodite e mantenute efficienti. Ciò non è facile ma è possibile. Questo mi consente lavorazioni frequenti a basso costo. Poi devo dire onestamente che collaudo ogni fase di attività direttamente e affino i metodi da applicare personalmente, e questo mi ha consentito di fare scelte operative che mi hanno ripagato del lavoro svolto. Colgo l’invito per l’articolo sulla conduzione dell’uliveto, che avrò il piacere di scrivere appena possibile, e se il tempo terrà non sarà facile, visto che sfrutto tutte le giornate possibili per il miglioramento della coltura. Concordo sul punto finale della tua affermazione, tutti abbiamo da apprendere, anche guardando il lavoro svolto da altri, e soprattutto il lavoro dei “ns. vecchi”, che proprio perché non avevano mezzi meccanici si ingegnavano per faticare di meno. Io quando posso mi faccio raccontare i metodi di lavoro applicati nel corso degli anni, per ora ho solo metodi applicati in questo territorio collinare a partire dalla fine del 1800 quando tutte le fasi erano svolte dall’uomo e solo qualcuno usava il mulo. Lascio un caloroso saluto a chi avrà la pazienza di leggermi e do a tutti la mia disponibilità a rispondere a qualsivoglia domanda sulle attrezzature utilizzate, utilizzabili, per tipo di terreno e potenza necessaria allo scopo, e se necessario sulle manutenzioni e riparazioni delle stesse.
Bene, Vincenzo. Ti ringrazio ancora per la tua disponibilità.