Il delitto Matteotti

ITALIA – 1973

Roma, 30 maggio 1924. Giacomo Matteotti (Franco Nero), segretario del Partito Socialista Unitario, interviene alla Camera chiedendo l’annullamento delle elezioni del 6 aprile a causa delle illegalità e delle violenze che hanno dato ai fascisti la maggioranza dei voti. Il 10 giugno alcuni fascisti rapiscono e percuotono a morte il deputato. L’opinione pubblica ne è sconvolta, l’opposizione politica non riesce a creare un fronte unitario e preferisce disertare i lavori parlamentari (secessione dell’Aventino). Mussolini (Mario Adorf) comprende che il momento è decisivo e che da quel che farà dipende il futuro del suo governo e del PNF. Il 3 gennaio 1925, con un discorso alla Camera dei deputati passato alla storia, dichiara di assumersi «la responsabilità politica, morale e storica» di quanto è accaduto in Italia negli ultimi mesi, discorso che è ritenuto dagli storici l’atto costitutivo del fascismo come regime autoritario: il punto di non ritorno. Tra il 1925 e il 1926 comincia la trasformazione in dittatura dell’assetto politico italiano.

Regia: Florestano Vancini

Attori: Franco Nero– Giacomo MatteottiMario Adorf– Benito MussoliniRiccardo Cucciolla – Antonio GramsciDamiano Damiani – Giovanni AmendolaVittorio De Sica – Mauro Del GiudiceGiulio Girola– Vittorio Emanuele IIIManuela Kustermann– Ada GobettiRenzo Montagnani – Umberto TancrediGastone Moschin – Filippo TuratiStefano Oppedisano – Piero Gobetti, Umberto OrsiniAmerigo Dumini, Cesare Barbetti– Cesare Rossi, Mario Maffei– Emilio De Bono, Max Dorian– Roberto Farinacci, Pietro Biondi– Filippo Filippelli

Soggetto: Florestano VanciniLucio Manlio Battistrada

Sceneggiatura: Florestano VanciniLucio Manlio Battistrada

Fotografia: Dario Di Palma

Musiche: Egisto Macchi

Montaggio: Nino Baragli

Scenografia: Umberto Turco

Costumi: Silvana Pantani

Durata: 120′Colore: CGenere: DRAMMATICO, STORICO

NOTE

– 1973 FESTIVAL CINEMATOGRAFICO INTERNAZIONALE DI MOSCA GRAN PREMIO

Franco Nero

Mario Adorf

NOTA CRITICA – INFORMATIVA

Il delitto Matteotti, di Florestano Vancini, si inserisce nel florido filone politico-civile della cinematografia nazionale che, a partire dagli anni Sessanta, sviluppò sia temi contingenti all’inasprimento della battaglia politica che sfocerà nelle contestazioni studentesche e operaie, sia temi di carattere storico. Francesco Rosi, (Salvatore Giuliano, 1962 e Le mani sulla città, 1963) sembrò focalizzarsi sui problemi del mezzogiorno, poi Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970 e La classe operaia va in paradiso, 1971) metterà a nudo i problemi dell’intera Italia, incapace di gestirsi in modo socialmente giusto ed equo, mentre Giuliano Montaldo, con i suoi film storici (Sacco e Vanzetti, 1971, Giordano Bruno, 1973), mostrò, in un certo senso, la violenza del potere politico e religioso, nonché  l’ingiustizia sociale. Florestano Vancini, abile narratore e regista appassionato di storia, attraverso la ricostruzione oculata e diligente del delitto Matteotti ci offre una rappresentazione di un periodo critico della nostra storia, mostrandoci, senza mezzi termini, cosa è stato il fascismo, ritratto in tutta la sua violenza politica, umana e sociale, e spiegandoci in modo semplice e chiaro le premesse storiche e sociali che l’hanno portato al potere, come pure la trasformazione da regime autoritario in dittatura. Nonostante il titolo, il film non è su Matteotti, né su Mussolini, né sui criminali fascisti che rapirono e uccisero l’esponente socialista, ma su una crisi che investe le forze sociali e politiche dopo la Prima guerra mondiale, sulla conquista del potere da parte dei fascisti, sulla incapacità dei partiti antifascisti, divisi e litigiosi proprio nel momento in cui Mussolini traballa dopo l’assassinio di Matteotti, di salvare la democrazia, sugli imprenditori fautori dell’avvento fascista e consensualmente favorevoli all’instaurazione del regime totalitario, sui ceti intermedi ben rappresentati dal magistrato Tancredi (Renzo Montagnani) che incarna perfettamente la cultura borghese dell’epoca, incapace, consapevolmente, di reagire alle prepotenze di un regime dittatoriale, che ricorre apertamente alla violenza per mettere a tacere le voci dell’opposizione, sull’istituzione monarchica che è diventata una marionetta nelle mani di Mussolini, sul Vaticano che decide di sostenere il regime fascista e costringe Don Luigi Struzzo a rifugiarsi a Londra. All’uscita del film si registrarono velati risentimenti da parte degli industriali del Nord Italia, special modo per il riferimento a personaggi forti quali Agnelli, Olivetti e Pirelli che nel film, pur non visibili, sono esplicitamente citati come sostenitori convinti dell’avvento del regime fascista. I monarchici rigettarono la figura del re Vittorio Emanuele III come descritta dal regista, estremamente fragile e scombinata a livello mentale. Anche la Chiesa ebbe da ridire, soprattutto per il ritratto dato al Cardinale Gasparri, descritto come mestierante asservito ai fascisti. Il film oltre ad avere una sceneggiatura ben fatta, scritta daVancini con Lucio Manlio Battistrada, ha una regia sobria, ma allo stesso tempo potente, capace di sottolineare i momenti più drammatici della storia, come il rapimento del leader socialista (Franco Nero), che il regista realizza con dei fermo immagine per rendere ben visibile la brutalità degli squadristi fascisti, il tutto accompagnato da una musica martellante, realizzata da Egisto Macchi. Interessante sono anche le sequenze dedicate alle iniziative nonviolente contro il regime fascista, promosse a Torino dal liberale Piero Gobetti (Stefano Oppedisano) anche lui pestato a sangue dai fascisti. Il montaggio serrato e dal ritmo incalzante di Nino Baragli concede scioltezza al percorso narrativo, che in questi generi di film dal tono didattico rischia di essere inevitabilmente appesantito. Gli attori interpretano i loro personaggi ricalcando le loro inflessioni dialettali, evidente soprattutto per il sardo di Gramsci (Riccardo Cucciolla). Questo poteva rendere il tutto grottesco, relegando il film al genere della parodia, ma le capacità degli attori, soprattutto la straordinaria performance di Mario Adorf nel ruolo del Duce, la migliore tra tutte le figure di Mussolini mai apparse sugli schermi, e la splendida regia di Vancini, lo rendono un film denso, avvincente, da mostrare soprattutto alle nuove generazioni, per non dimenticare un periodo tragico della nostra storia  e non sottovalutare il pericolo fascista, tuttora concreto e tangibile. Il film lo trovate su Youtube.

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. Un bel film su un pezzo importante della nostra storia. Fai bene a richiamare l’attualità delle minacce alla democrazia e la necessità di stringersi insieme, pur nella diversità, quando si tratta di respingere un nemico mortale. Una lezione, quest’ultima, di cui dovremmo fare tesoro a ogni latitudine e in ogni circostanza.

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