ITALIA 1945
Durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, la polizia tedesca è sulle tracce dell’ingegner Manfredi (Marcello Pagliero), un dirigente comunista della Resistenza romana. L’uomo, sfuggito in tempo alla perquisizione nella casa in cui abita, trova rifugio in casa di Francesco (Francesco Grandjacquet), un tipografo antifascista prossimo sposo della vedova Pina (Anna Magnani). Anche il coraggioso don Pietro (Aldo Fabrizi), un parroco di periferia attivo nella lotta contro l’oppressore, cerca di coprire i partigiani, ma nulla può contro la delazione di una attricetta, Marina (Maria Michi), che ha avuto una relazione con Manfredi ed è stata piantata dal ricercato. L’ingegnere e il parroco vengono arrestati dalla Gestapo e portati in Via Tasso. Manfredi è sottoposto a tortura sotto gli occhi di don Pietro, per far sì che almeno il sacerdote ceda; Manfredi muore senza aver tradito i propri compagni ed il prete si rifiuta di parlare. Condannato a morte, il giorno della sua fucilazione viene salutato per l’ultima volta dai suoi ragazzi.
Regia: Roberto Rossellini
Attori: Anna Magnani– Pina, Aldo Fabrizi– Don Pietro Pellegrini, Vito Annichiarico– Marcello, il figlio di Pina, Marcello Pagliero– Ing. Manfredi, Nando Bruno– Agostino, il sagrestano, Harry Feist– Maggiore Fritz Bergmann, Francesco Grandjacquet– Francesco,Maria Michi– Marina Mari, Eduardo Passarelli– Brigadiere metropolitano, Carlo Sindici– Questore, Akos Tolnay– Disertore austriaco, Joop van Hulzen– Capitano Hartmann, Giovanna Galletti– Ingrid, Carla Rovere– Lauretta, sorella di Pina, Amelia Pellegrini– Nannina, la padrona di casa, Alberto Tavazzi– Prete confessore alla fucilazione di don Pietro, Turi Pandolfini–Sor Biagio, il nonno
Soggetto: Sergio Amidei
Sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini
Fotografia:Ubaldo Arata
Musiche: Renzo Rossellini – Musiche dirette da Luigi Ricci.
Montaggio: Eraldo Da Roma
Scenografia: Rosario Megna
Durata:100′ Colore:B/N Genere:DRAMMATICO, GUERRA
Produzione: EXCELSA FILM
Distribuzione: MINERVA FILM (1945)
NOTE
– PALMA D’ORO AL FESTIVAL DI CANNES 1946.
– NASTRO D’ARGENTO PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE FEMMINILE (ANNA MAGNANI) E IL MIGLIOR FILM.
– NOMINATION AGLI OSCAR PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE.
– 1946 – NATIONAL BOARD OF REVIEW AWARD MIGLIOR FILM STRANIERO , MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA A ANNA MAGNANI
– NEW YORK FILM CRITICS CIRCLE AWARD MIGLIOR FILM IN LINGUA STRANIERA
– È CONSIDERATO IL FILM CAPOLAVORO E SIMBOLO DEL NEOREALISMO. LA SCENA DELLA MORTE DI PINA (ANNA MAGNANI) FUCILATA MENTRE CORRE DIETRO AL CAMION DEI TEDESCHI CHE STA PORTANDO VIA IL SUO UOMO È ENTRATA A PIENO TITOLO NELLA STORIA DEL CINEMA.
È STATO INSERITO NELLA LISTA DEI 100 FILM ITALIANI DA SALVARE.
NOTA CRITICA- INFORMATIVA
«La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta».
Otto Preminger – regista americano
Roma città aperta, capostipite del movimento più innovativo del cinema italiano, il neorealismo, fu girato da Rossellini tra mille ostacoli e in condizioni di incredibile povertà di mezzi; pellicola che scarseggiava, mancanza di finanziamenti. Vale la pena riprendere un po’ il filo della Storia e cercare di comprendere quella che era la situazione a Roma verso la fine della Seconda guerra mondiale, periodo in cui il film viene concepito e girato. Dopo la caduta di Mussolini, il 14 agosto 1943 il Governo Badoglio dichiarò unilateralmente Roma “città aperta”. L’espressione” città aperta” significa che la città non viene dotata di mezzi difensivi o offensivi e che per tali ragioni dovrebbe essere risparmiata dai bombardamenti o da azioni belliche. In realtà, i nazisti e i fascisti violarono a più riprese lo stato di Roma “città aperta” quando la occuparono nel settembre del’43. Nei nove mesi di occupazione nazista, prima della liberazione della città avvenuta il 4 giugno del 44, i nazisti lasciarono uno strascico di violenze, rastrellamenti e fucilazioni che, insieme alle privazioni e ai bombardamenti degli alleati, hanno reso Roma una città in miseria e impaurita. Proprio durante quei mesi di occupazione, un eterogeneo gruppo di intellettuali e cineasti antifascisti (comunisti, cattolici, liberali) ebbe l’idea di documentare su pellicola quanto la città stava vivendo. All’inizio si pensa a un cortometraggio, poi a un film a episodi e infine prende forma un lungometraggio in cui si intrecciano varie storie. Il soggetto prende spunto da fatti e personaggi realmente esistiti: due sacerdoti che avevano partecipato alla Resistenza, Don Giuseppe Morosini e Don Pietro Pappagallo – che ispirarono la creazione del personaggio interpretato da un memorabile Aldo Fabrizi -, e Teresa Gullace, una popolana calabrese di Cittanova emigrata a Roma ed uccisa dai nazisti mentre cercava di parlare con il marito fatto prigioniero – che vediamo a grandi linee nel personaggio interpretato dalla vulcanica, passionale e grandissima Anna Magnani-. Attraverso queste figure, nonché quella dell’ingegnere Manfredi (Marcello Pagliero) – dove si intravedono i connotati di Celeste Negarville, esponente di primo piano del PCI – si va piano piano delineando un racconto di resistenza antifascista che mette insieme storie che raccontano il coraggio di persone umili che non si piegano alla violenza e al sopruso. Roma città aperta è uno dei pochi film nella storia del cinema per cui si può parlare di un vero e proprio miracolo creativo. La guerra non viene mostrata nei campi di battaglia, ma entra nelle case, nella vita della gente, la storia di ognuno dei personaggi diventa la storia di tutto un popolo. Parafrasando Hannah Arendt potremmo dire che il film descrive la banalità del bene, l’eroismo quotidiano che nasce spontaneamente come moto di ribellione contro il male. L’elemento umano predomina su qualsiasi prospettiva ideologica. Il sacrificio del partigiano, l’uccisione della popolana, la fucilazione del prete testimoniano la separazione tra umanità e barbarie. Per questo si parla di umanesimo rosselliniano. Per Rossellini l’essere umano è il centro di tutto perché non possiamo capire il mondo e la storia se prima non comprendiamo noi stessi, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre paure. Lo stile cinematografico che ne scaturisce è per forza di cose scarno, essenziale e viene eliminato qualsiasi tono trionfalistico per raggiungere un grado di autenticità e spontaneità. Le riprese in esterni usano luoghi anonimi, lontani da qualsiasi ricerca del bello e del pittoresco. Il linguaggio è quello parlato nella realtà, parolacce comprese, come quel «ma va’ a morì ammazzato, va’» con cui la Magnani si presenta al pubblico. Un grande contributo alla vitalità degli episodi e dei personaggi lo dà Fellini che contribuisce alla sceneggiatura soprattutto per i momenti comici, vere e proprie gag che caratterizzano tutta la prima metà del film e culminano nella famosa scena della padellata sulla testa di Sor Biagio. Da Roma città aperta nasce il nuovo cinema italiano, nasce il cinema moderno, nasce l’Italia democratica e antifascista. Ci sarebbe moltissimo da dire su questo autentico inno alla libertà che è Roma città aperta, ma lo spazio concessomi non è assolutamente sufficiente. Quello che spero è che nei licei qualche insegnante illuminato lo promuova ancora ai suoi studenti. Non solo per aprire una finestra su una città occupata, ma per far respirare il vissuto di chi seppe scegliere e pagare di persona per liberarci dal giogo nazi-fascista, come è stato per tanti partigiani palmesi che, grazie a una preziosa ricerca di Ippolito Armino, finalmente conosciamo.
Mimmo Gagliostro