In queste ore molti intrallazzatori, sperperatori di pubblico denaro, servitori di molti padroni, omertosi, ipocriti di ogni risma e colore, adulatori pubblici e privati festeggiano nel giardino della propria casa, nei caffè, nei salotti l’addio alla politica locale del consigliere Ippolito Armino. Finalmente si sono liberati di quei cacasenni del Circolo Armino e del suo principale ispiratore.
La sconfitta del Circolo era nell’aria da molto tempo, ma nessuno si aspettava una disfatta di tale portata. Il risultato è lampante, inconfutabile e di fronte al responso delle urne bisogna inchinarsi anche se ci sarebbe molto da discutere sui meccanismi del consenso. Non è qui il caso di analizzare gli errori commessi dal Circolo, il suo velleitarismo e le ragioni, tante e diverse, che hanno determinato questa debacle, ma non c’è dubbio che in questi anni abbiamo operato in solitudine all’interno di un contesto dove verità e bugie, storture e tradimenti, ambiguità e connivenze imperavano e continuano a imperare, senza dimenticare, inoltre, che uomini di scarsa e lacunosa cultura, incapaci di concepire qualsiasi visione della città, hanno saputo ammantarsi di demagogia, conculcando i diritti più elementari e corrompendo la coscienza delle classi più umili facendole proprie alleate. Non si cercano alibi per la disfatta subita ma tant’è.
Spesso discutevo con Ippolito del rapporto tra politica e morale, del senso autentico della libertà, della responsabilità etica e politica collettiva e individuale, del progetto politico ispirato a valori di giustizia, libertà, uguaglianza. A volte succedeva che non eravamo d’accordo su certi personaggi che si dicevano vicini al Circolo, ma che poi si rivelavano, se non nemici, certamente degli ignavi. Affettuosamente lo chiamavo Laurana, come il professore del romanzo A ciascuno il suo, per la sua estrema fiducia negli altri, la sua sete di giustizia, la sua curiosità, il suo candore, la sua estraneità al sottobosco delle ipocrisie diffuse e della passività omertosa, nonché la sua lontananza dagli intrighi del potere clericale. Scherzosamente ma non tanto, io, cattolico, lo invitavo a stare lontano dai preti dicendogli: <<non vorrei che un giorno tu amministrassi la città insieme alla Curia>>.
Abbiamo lavorato insieme ad altri soci, lui come responsabile e io come vice, per offrire alla città una dignitosa aggregazione politica e civica non adusa a frequentare i potenti, portatrice di altre visioni del mondo, altri codici di comportamento e che in questi anni ha condotto civili battaglie per la legalità, contro il disastro ambientale e per un ragionevole uso del territorio, opponendosi a uno scellerato strumento urbanistico che prevedeva ulteriore consumo di suolo. Caro Pino, la tua sconfitta è anche la mia sconfitta, ma quello che preoccupa è la vittoria di quegli uomini impagliati che si sostengono l’uno con l’altro e che hanno massacrato questa città, è la vittoria di quei gruppi di potere e consorterie clientelari che si annidano in entrambi le coalizioni così somiglianti e intercambiabili, è la vittoria di <<quel fanatismo popolano unito a un corrosivo analfabetismo funzionale che circonda la figura di Ranuccio>> [Pasquale Cannistrà] che pretende addirittura di scrivere la Storia.
Non saremo noi ad arrestare il declino di questa comunità, ma resta il tentativo del circolo da te guidato di invertire la direzione che ci sta portando verso il baratro e soprattutto rimane la tua encomiabile ricerca che ha fatto conoscere alla città il prezioso e doloroso contributo di tanti giovani partigiani palmesi che hanno combattuto per liberarci dal giogo nazi-fascista. Grazie, infinitamente grazie per avermi coinvolto in questa avventura.
Mimmo Gagliostro