Vita di Antonio Armino
“Azionismo e sindacato” è il titolo del volume, pubblicato dall’editore Rubbettino e disponibile da pochi giorni in libreria, nel quale, attraverso il racconto della vita di Antonio Armino – un palmese emigrato a Napoli negli anni ’30 del secolo scorso – vengono in particolare ripercorse le vicende storiche, così spesso trascurate o misconosciute, che hanno segnato la fine del fascismo e della guerra nel Mezzogiorno d’Italia.
Con l’arrivo degli Alleati e la fuga del re, prima a Brindisi poi a Salerno, Napoli tornò ad essere una capitale. Qui confluivano gli esuli politici da ogni parte del mondo e si apriva una nuova stagione di libertà in un clima generale di entusiasmo e di partecipazione popolare. Le formazioni clandestine di Giustizia e Libertà, che avevano avuto negli anni bui della dittatura un ruolo preminente nell’opposizione al fascismo, davano vita al Partito d’Azione, del quale Armino fu tra i fondatori e il massimo esponente calabrese.
Anche i lavoratori tornavano ad associarsi liberamente nei sindacati che il fascismo aveva, di fatto, aboliti con il patto di palazzo Vidoni tra la Confindustria e la Confederazione Fascista delle Corporazioni nel 1925. All’opera di Armino e di un pugno di altri valorosi combattenti si deve la rifondazione della Camera Generale del Lavoro (CGL) che darà vita, non senza traumi, all’odierna CGIL.
Nel marzo del ’44 sbarcava a Napoli anche il leader dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, che annunciava una clamorosa svolta nei rapporti tra il suo partito e il governo del maresciallo Badoglio, suscitando una vivace polemica tra le forze politiche rappresentate nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), in particolare tra quelle della sinistra e il Partito d’Azione.
Armino partecipò da protagonista al dibattito che, nei lunghi mesi del cosiddetto Regno del Sud, si svolse tra le forze politiche su questioni cruciali come quelle del rapporto tra i partiti della sinistra e tra questi ultimi e il sindacato. L’esito di questo dibattito sarà tutt’altro che ininfluente per gli equilibri politici e sindacali che si stabiliranno nell’Italia infine liberata, anche al Nord, dall’aggressione nazista.
Cito da J.Hobsbawm : “Ancora più della grande guerra, la seconda guerra mondiale, fu combattuta fino alla resa finale,senza che si pensasse a soluzioni di compromesso da nessuna delle due parti, eccezion fatta per l’Italia,che mutò regime politico e schieramento nel 1943 e che non fu trattata interamente come un territorio occupato, bensì come una nazione sconfitta con un governo legittimo ufficialmente riconosciuto. (Contribuì a questa situazione il fatto che per quasi due anni l’Italia restò divisa in due : a sud vi era il governo regio, schierato a fianco degli alleati, mentre nel nord, occupato dai tedeschi, Mussolini aveva costituito la Repubblica Sociale Italiana)”.
Da questo si deduce che il governo regio restituì all’Italia una sorta di verginità,che permise al nostro paese di incassare un trattamento di favore rispetto a quelli ritenuti esclusivamente sconfitti.Da questo punto di vista la scelta di Togliatti si dimostrò lungimirante e di estrema concretezza politica a scapito di prese di posizioni ideologiche sterili e controproducenti.
Complimenti e tanti auguri per il libro e che sia sprone di future discussioni.
I comunisti italiani erano nel CLN, insieme agli azionisti, tra i più strenui oppositori del governo Badoglio. Lo erano perché Badoglio si era macchiato di un criminoso passato coloniale, perché era sempre stato consustanziale al fascismo, perché aveva accompagnato la vergognosa fuga del re da Roma, perché erano repubblicani.
Togliatti sorprese tutti, per primi i suoi compagni di partito coi quali non aveva spartito la decisione. La decisione venne infatti da Stalin per ragioni che niente avevano a che vedere con gli interessi della nascente democrazia italiana. Togliatti eseguì.
Naturalmente il fatto, per quanto gravi siano state le conseguenze, non può da solo raccontare tutto della vita e dell’opera di Togliatti.
Sta, comunque, sempre a ricordarci che è bene lasciare i santi alla chiesa e accontentarsi, almeno in politica, di uomini con i loro vizi e le loro virtù.
Che la decisione venne da Stalin è tutta da verificare; che si sia dimostrata giusta è scritto nella storia; che quest’ultima sia complessa e frutto di processi lunghi e contraddittori è un’altrettanta verità, non circoscrivibile in aneddoti e semplificazioni seppur dettate dallo spazio di un commento.
Togliatti sbarcò a Napoli, proveniente dall’URSS, il 27 marzo del ’44 e annunciò la svolta nella conferenza stampa del primo aprile alla federazione comunista di via Medina. Lo sconcerto di Scoccimarro, all’epoca il numero due del partito, rimasto in Italia, è descritto da Giorgio Amendola in un suo libro.
La decisione spezzò il fronte delle sinistre, non ebbe conseguenze dirette sull’esito della guerra in corso, aprì a una stagione di cedevoli compromessi (Badoglio rappresentava, per gli antifascisti, il peggio del regime mussoliniano). La strategia non ebbe, infine, vita lunga: già nel ’47 e poi, plasticamente con le elezioni del ’48, si tornarono a formare due contrapposti blocchi.
Tutto questo avveniva mentre si deliniava una divisione in zone d’influenza del mondo ed in Italia, caduto il fascismo, era naturale la divisione delle forze antifasciste tenute insieme dall’obiettivo comune di ribaltare la dittatura mussoliniana.Tutto questo comportò una fase di transizione e quindi di compromessi che tenevano conto degli equilibri interni ed esteri.Alternativa, per lo schieramento di sinistra,sarebbe stata l’inserruzione armata, il cui eventuale esito positivo,
sarebbe stato vanificato dall’intervento repressivo degli alleati occidendali nell’ambito dei nuovi equilibri mondiali che prevedevano la divisione del mondo in due blocchi.Non credo che ci fossero le condizioni per indire elezioni politiche.
Nel dopoguerra, infatti, l’Italia è stata asservita agli interessi degli Stati Uniti d’America. L’alternativa sarebbe stata l’asservimento all’URSS. Se mai vi era una terza via, è stata soffocata sul nascere dall’abbraccio mortale tra le prime due.
Caro Pino ho i miei dubbi che l’Italia sarebbe potuta diventare la Svizzera mediterranea data la sua posizione geografica che ha una marcata valenza strategica.
Dibattito interessante pur non conoscendo il contenuto del libro. Riguardo al governo Badoglio va detto che in effetti creò uno stacco netto dal fascismo, nonostante la rappresentanza facesse capo a un colonialista implicato nel regime come ha ricordato Pino. Ne è prova anche il fatto che diverse migliaia di soldati italiani, sopratutto ufficiali, c.d. “badogliani”, furono trucidati dai tedeschi nell’est europa; reparti interi dell’esercito italiano, messi per “riguardo” di fronte alla scelta se continuare l’alleanza con la Germania o essere deportati e uccisi, scelsero la seconda.
Quanto alla questione della posizione togliattiana, non credo vi siano dubbi che derivò da Stalin. Ho letto anche ultimamente di nuove interpretazioni sul punto che infittiscono i dubbi sul significato della netta presa di posizione. Che la scelta di Stalin non avesse nulla a che vedere con la democrazia ho qualche dubbio, essendo stato il primo in Europa a riconoscere il nuovo governo antifascista, differenziandosi dagli altri capi europei, notoriamente tentennanti. In quella situazione di estrema drammaticità far figurare immediatamente la fine del fascismo non mi sembra possa considerarsi cosa di poco conto.
Dimenticavo la cosa più importante: complimenti per il libro (e per i suoi effetti istantanei) e auguri per le nuove ricerche.
Nel libro riporto dei fatti che ho avuto cura di verificare con accuratezza, fin dove mi è stato possibile anche sulle fonti originali. So bene, tuttavia, che i fatti vivono insieme all’interpretazione che di essi si dà. Io per certo ho dato la mia che è il lungo portato delle mie esperienze, dei miei studi, delle mie passioni e dei miei convincimenti. Altri potranno, con pari legittimità, fornire altre interpretazioni, leggervi altri e diversi insegnamenti rispetto a quelli che ne ho tratto io.
Un insegnamento che ho tratto dai fatti di quel particolare periodo storico è che gli alleati anglosassoni hanno combattuto il nazifascismo solo militarmente lasciando molto a desiderare sul fronte della lotta politica intenti come erano ad ostacolare l’autoaffermazione democratica dei popoli (vedi Grecia) e sempre a braccetto con le forze conservatrici che avevano consentito l’ascesa dei regimi dittatoriali di destra pur di sbarrare il passo all’affermarsi di equilibri più avanzati che prevedevano la presenza dei partiti di sinistra.
La mia lettura dei fatti è che né gli USA né l’URSS fossero minimamente interessati all’autoaffermazione democratica dei popoli. C’era una parte della sinistra che, forse con irrealismo, pensava che il destino dell’Italia non fosse confinato alla scelta tra due imperialismi ma fu spazzata via dal compromesso tra chi una scelta di campo l’aveva invece fatta.
Sono piacevolmente sorpreso che la sola apparizione del libro susciti già così appassionate discussioni. Chissà cosa ne verrà fuori dopo la lettura!
Sono d’accordo:ho posto l’accento sugli alleati angloamericani che tuttora in nome della democrazia perseguono una politica estera aggressiva e di sottomissione dei popoli, causa in tutti i continenti di milioni di morti pur di mantenere il predominio, facendo ricorso e appoggiando regimi dittatoriali,che nemmeno il cinismo, basta a giustificare.Riguardo il periodo badogliano, per l’Italia, non intravedo vie di fuga alternative.