Modificazioni antropologiche

 

Esistevano una volta persone che segnavano in Città gli anni o i lustri con la loro personalità o per qualche particolare condizione o ruolo, ricoperti con fiera dignità. Alcuni bizzarri nella esplicazione di intelligenza o cultura; altri cui si assegnava da parte dei concittadini – che riconoscevano loro una collocazione singolare nella società –  una valenza che accarezzava il lato umoristico. E in ogni caso in esso mai  riflessi sardonici o di cattiveria. Si intrecciavano gli aneddoti; si narravano intorno fatti,  via via modificati dal passa- parola della gente e ad uso, fantasia  e discrezionalità della stessa. Poteva trattarsi dell’avvocato che, seduto al tavolo di un bar, immerso nella sua interminabile e corrosiva concione contro l’universo mondo o, più modestamente , contro il malcapitato di turno, dimenticava  per ore la moglie in auto. O l’umile accalappiacani, che per il mestiere espletato era  “considerato” dai concittadini.  E su di lui  una punta di allegra bonomia. Oppure politici di spessore, che s’imponevano : c’erano. Impegnati con varie sfumature a favore dei cittadini amministrati, e ai quali non si risparmiava da parte di questi ultimi l’attenzione critica, per qualche loro risibile debolezza. C’erano e rappresentavano un mondo, foss’anche il loro soltanto: particolare e sui  generis. E se di opposte idee politiche, ai lati estremi, si fronteggiavano a volte nella piazza principale, accompagnati dai loro sodali, guardandosi in cagnesco da lontano, perché lo scontro fisico era inconcepibile;  e il giorno seguente –  ferme in ogni caso le loro idee – il caffè offerto all’avversario prassi. Quale modificazione antropologica sia nel tempo avvenuta non è facile comprendere. Perché oggi, spariti i personaggi, restano le persone, soltanto. Che spesso interagiscono a fatica e sul piano umano e sul piano sociale; né veicolano – ma vi è qualche fortunata eccezione –  con la forza di un tempo idee e progetti, necessari alla crescita della Città. Stato di cose causato dall’ imbonimento mediatico, che ha represso le diverse sensibilità sociali e politico-culturali e che, addormentando le coscienze, non ha consentito o ha frenato l’emergere di caratteristiche e aspetti peculiari? Al sociologo l’analisi. Il timore, oggi diffuso, di non essere allineati, di uscire allo scoperto  come si è,  di allontanarsi dal tranquillo cammino del gregge, ha fatto probabilmente il resto. Peccato!

Palmi 27/11/2013 – Gabriella Idà

 

9 commenti Aggiungi il tuo

  1. CIVIS ha detto:

    E’ una riflessione molto interessante, mi è capitato di osservare che non abbiamo più personaggi neanche tra i cosiddetti “storti”.
    Come dimenticare Taneddhu, Filippu u stortu, Ninu l’orru?
    Non è facile rispondere alla domanda che si pone Gabriella, certo le ragioni sono tante e, tra esse, credo che ci anche sia il reflusso nel privato che impedisce un confronto collettivo, la delusione, e una sorta di “depressione cittadina” che impedisce di vedere il positivo, di sperare insieme.
    Lo stato d’animo blocca soprattutto i più giovani che si stancano presto di fronte alle difficoltà poste da quello che Leonida Repaci definiva “il muro di Palmi”.
    Io credo che chi, come me, non è più giovane, dovrebbe domandarsi cosa possiamo fare noi (che abbiamo delle responsabilità notevoli nella creazione di questo disagio collettivo) per indicare la nuova via per uscirne.
    Intanto parliamone.
    CIVIS

    1. FB ha detto:

      E’ piacevole il rimando a tempi in cui le figure e i ruoli erano ben definiti, ma anche interessante il confronto e la riflessione sulla sparizione di certe situazioni di tipo antropologico. Secondo me è curioso constatare come in una società quale l’attuale, che pretende di “valorizzare” l’individuo, nel superamento della c.d. massificazione, proprio ora cioè, scompaiano le figure ben definite, siano esse autorevoli che bizzarre, ma sempre nel segno della personalità che caratterizzava i tipi descritti con efficacia nell’articolo.

  2. Gustavo ha detto:

    Non essendo specializzato in materia posso solo “giocare” a cercare di dare una risposta. I tempi a cui Gabriella si riferisce (prima degli anni 80) erano caratterizzati da agglomerati urbani chiusi in se stessi. Da qui scaturiva la “necessità” di trovare “in loco” la “soddisfazione”, necessaria alla stessa sopravvivenza, di determinati ruoli. Questo non era sempre positivo, anzi… Soddisfatto il bisogno dei ruoli positivi spesso i ruoli negativi venivano affibbiati (imposti) per qualche diversità. Prendiamo, ad esempio, il caso dello “scemo del villaggio”, figura “indispensabile” per fare “rientrare tutti gli altri” in una parvenza di normalità. Da tenere presente che perché questa “imposizione” di ruoli fosse valida a “fare rientrare tutti”, non dovevano esserci né delle “eccellenze” né delle “inferiorità” tali da impedire il “confronto”. I nostri villaggi globali (diciamo: aperti alla globalizzazione) odierni hanno ancora bisogno dei ruoli ma possiamo anche trovarli lontani da noi (fuori dal villaggio).Dovendo, per ovvie necessità, essere conciso mi fermo qui.

  3. carmelo garipoli ha detto:

    In modo chiaro e limpido io confesso di avere molta nostalgia per quei tempi; so che sicuramente non torneranno più ma lasceranno, sempre e comunque, note piacevoli nei nostri ricordi giovanili.
    Tentare di scoprire la ragione di “tale mutamento” è, a mio parere, una impresa ardua, è, forse, impossibile; ma, così come si afferma nel superiore scritto, probabilmente, solo l’analisi approfondita di un esperto sociologo, potrebbe offrire la corretta soluzione al problema. Penso, comunque, che tutto sommato, una delle cause principali di tale cambiamento potrebbe essere ricercata nella notevole diminuzione della c.d. “fiera dignità”.
    Negli uomini politici di un tempo la dignità era, sicuramente, uno dei requisiti più importanti da possedere per poter partecipare alla politica, oggi invece……sono richiesti altri diversi requisiti…

    1. Gustavo ha detto:

      Ho certamente nostalgia della mia giovinezza (anni sessanta, settanta), molto meno dell’ambiente in cui l’ho vissuta. Anche se non li ho subiti (sia per banale casualità di “nascita” sia per una fortunata scelta di amicizie) ho visto il bisogno, la miseria, la discriminazione, la società rigorosamente stratificata in classi, la chiesa e la scuola dei ricchi, l’obbligo imprescindibile di “normalità”, la lotta di classe, la totale chiusura al nuovo o al diverso, l’emigrazione, …

      Il “sessantotto” non è stata un’invenzione ma una necessità. Di questo ho nostalgia, soprattutto perché poi l’ho visto svilito, incompreso e in gran parte vanificato.

  4. G.I. ha detto:

    Be’, anche per me è lo stesso : nostalgia e rimpianto. E poi da adulti (eufemismo) si pensa spesso alle cose che potevano essere e non sono state – e alle rose non colte, parafrasando il poeta.
    A parte le modificazioni antr., circa la stagnazione evocata da Gustavo – e quanto reale ! – mi risovvengono alcune situazioni di allora. Vere la miseria e la società chiusa in se stessa, autoreferenziale. Dove alcuni rioni erano considerati nell’immaginario collettivo (paesano) quasi assimilabili a quartieri degradati di terre maghrebine. Ad esempio, ‘Pille’.
    Non avere avuto contezza della “vita” che vi si srotolava è stato un grossolano errore, imperdonabile; anche rispetto all’attenzione che avrebbero meritato da parte di istituzioni varie. Probabilmente più vera quella della quotidianità, depressa (vero sulla ‘depressione cittadina’ – richiamata da Civis; di oggi come di ieri) e sotto alcuni aspetti misera , di altre zone considerate di qualità diversa.

  5. CIVIS ha detto:

    E’ verissimo che, nel passato della nostra città ci sono arretratezza, discriminazione e miseria, ma è altrettanto vero che vi era un gruppo che si distingueva per capacità culturale e voglia di spendersi per gli altri.
    Leggendo il libro di Bongiorno si rimane sorpresi della grande vivacità politica e sociale che manifestava la Palmi del primo Novecento.
    Si trattava pur sempre di elite ma vi erano dei valori o, se volete, delle illusioni che la vincevano sullo “ncriscimentu”.
    Io non vorrei tornare a quei tempi difficili ed amari ma vorrei ritrovare quella speranza di portare la mia Città verso un futuro migliore.

  6. G.I. ha detto:

    L’ha ritrovata. Già per il fatto di parlarne.

  7. Pinoipp ha detto:

    Inevitabile che la nostalgia del buon tempo andato riaffiori in un uno con il rimpianto della gioventù, in parte anche alterando, nel ricordo, una realtà che presentava anche molti aspetti che oggi sono stati fortunatamente corretti; ma certo le nuove comunicazioni, i rapporti assai più frequenti ed intensi con paesi vicini e lontani hanno cambiato profondamente la nostra società.

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