“The ghost of Tom Joad” è uno dei più bei brani della produzione recente di Bruce Springsteen. L’ incanto delle note di una chitarra acustica e di un’armonica ci guidano lungo le interstatali che attraversano gli Stati Uniti in direzione dei quattro punti cardinali e che ne costituiscono il sistema venoso più profondo, attraverso cui fluisce la linfa vitale di quel Grande Paese. Se ci si lascia trasportare dal ricamo straziante dell’armonica del Boss e dalle increspature della sua voce, e si ascolta con molta attenzione, ci si può accorgere che le note non muoiono all’interno finito di un brano folk, ma trovano misteriosi echi che, dai bordi di quelle interstatali, giungono dal passato. Raccontano, queste note echeggianti, la storia collettiva di uomini dimenticati che, nel Grande Paese dell’Individualità, hanno tentato di farsi comunità. E non hanno compiuto questo tentativo perché, casomai, corrotti da ideologie sovversive, no; lo hanno compiuto nel gesto istintivo di conservazione che spinge tutti gli esseri umani a cercare nel proprio simile le ragioni ultime della propria esistenza. Così, l’Odissea rurale dei Joad e delle altre centinaia di migliaia di persone che, travolte dalle conseguenze economiche disastrose della crisi di Wall Street del 1929 e sospinte dalla fame, si riversarono sulle strade migrando dagli Stati Centrali verso la prospera California, diventa il paradigma di un’umanità che riscopre i legami più profondi del proprio essere – l’empatia, la solidarietà, il mutuo soccorso, il gesto della mano su una spalla – quando è a rischio di scomparire. I Joad e tutti gli altri “Okie” erranti non conoscono in realtà altra ideologia che la loro vita contadina, il ritmo delle albe e dei tramonti, quello dei raccolti e delle piene; quando un’Entità, altra ed immanente, li priverà di tutto tranne che della loro dignità, farsi collettività sarà l’unica via per sopravvivere tra stenti indicibili. Insomma, Lenin ed i “rossi” sono una eventuale conseguenza ma giammai una causa. La causa è piuttosto Walt Withman ed i suoi spiriti barbarici e primari che innervano le esistenze dei protagonisti, rendendoli tutt’uno con la Natura, che pre-esistono a qualunque effetto. Ma attenzione, sembra ammonire Steinbeck: “Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.” Racconto seminale ed attuale quant’altri mai, in grado di canonizzare gli stilemi dell’on the road, ripresi con altri esiti da Kerouac vent’anni dopo, commuove indigna ed inquieta. Tanti sono i piani di lettura, ma mi piace pensare che chiunque approcci quest’opera se ne scelga uno o più tra i preferiti. Però quando volti l’ultima pagina hai voglia di abbracciare tutti gli Okie, Mà e Pà, Zio John ed Al, ovviamente Tom e Casy, perché un po’ della loro straripante umanità ti è forse rimasta appiccicata addosso.