BROKEN ARROW
USA – 1950
Arizona 1870. Mentre cerca una zona buona per l’oro Tom Jeffords (James Stewart) si imbatte in un ragazzo apache ferito. Lo cura e gli salva la vita, riesce persino a comunicare con lui, ad acquistare la sua fiducia. Quando gli Apache catturano Tom, il ragazzo indiano intercede e gli salva a sua volta la vita. Inizia così ad instaurare un rapporto nuovo con gli apache basato sul reciproco rispetto. La cosa però non è gradita agli altri bianchi che diffidano di Tom, il quale scommette che parlando al capo Cochise (Jeff Chandler) lo convincerà a lasciare in pace gli uomini che portano la posta. Così impara la lingua indiana, poi parte verso il campo e parla al grande capo. Conosce una giovane indiana (Debra Paget), si innamora di lei e la sposa con rito indiano. Nel frattempo la tregua funziona. Cochise si è dimostrato uomo intelligente e di parola. Ma ci sono altri interessi in questione. Un gruppo di bianchi cerca di uccidere Cochise per far saltare la tregua. Muore la giovane indiana e Tom, con suo grande dolore, diventerà il simbolo dell’amicizia fra bianchi e indiani.
Regia: Delmer Daves
Attori: James Stewart – Tom Jeffords, Jeff Chandler – Cochise, Debra Paget – Sonseeahray (‘Morningstar’), Basil Ruysdael – Gen. Oliver Howard, Will Geer – Ben Slade, Joyce Mackenzie – Terry, Arthur Hunnicutt – Milt Duffield
Soggetto: Elliott Arnold
Sceneggiatura: Albert Maltz
Fotografia: Ernest Palmer
Musiche: Hugo Friedhofer
Montaggio: J. Watson Webb Jr.
Scenografia: Albert Hogsett, Lyle R. Wheeler
Costumi: René Hubert
Effetti: Fred Sersen
Durata: 93′Colore: CGenere: AVVENTURA, WESTERN
Tratto da: ROMANZO ‘BLOOD BROTHER’ DI ELLIOTT ARNOLD
Produzione: FOX
Distribuzione: FOX
NOTE
GOLDEN GLOBE 1951: GOLDEN GLOBE PER IL MIGLIOR FILM PROMOTORE DI AMICIZIA INTERNAZIONALE
NOTA CRITICA –CRITICA
Quando ero giovane attraversai tutto questo territorio, da Est a Ovest, e non vidi nessun altro popolo oltre a quello degli Apache. Dopo molte estati lo attraversai di nuovo e trovai un popolo di un’altra razza che era giunto per impadronirsene.
Cochise, capo degli Apache Chiricahua
1860-1890: è il trentennio della «soluzione finale» per il problema indiano, che approda alla distruzione della cultura e della civiltà dei pellerossa. In questo periodo nascono tutti i grandi miti del West, un’epopea a esclusivo beneficio degli uomini bianchi. L’attenzione alla questione indiana, dalla parte dei pellerossa, era già stata affrontata dal cinema americano durante il periodo cinematografico del muto: basti ricordare il film di Thomas Harper Ince (The Heart of an Indian, 1912) che si apre con la gratuita uccisione di alcuni pellerossa e si chiude con un feroce massacro, da parte dei bianchi, di tutti gli abitanti del villaggio indiano. Ma L’amante indiana, diretto da Delmer Daves, resta comunque il primo film che spedì in soffitta una visione manichea, seppur spettacolare, del West,rappresentata dal nostro “eroe” John Wayne, razzista accecato da un odio verso gli indiani (l’unico indiano buono è un indiano morto). «Desideravamo fare il primo film che mostrasse l’indiano d’America come un essere umano con una dignità, un senso dell’onore, del coraggio e anche con un villaggio e una vita di famiglia che comprendessero dolcezza, tradizioni, riti» [Delmer Daves]. Lontano dal filone western revisionista, altrettanto schematico e settario, del dopo Sessantotto (Soldato blu, di Ralph Nelson, è un esempio) che pretende di riscrivere la Storia alla luce del sentimento o dell’ideologia presentando i popoli pellerossa come tutti buoni e pacifici e i bianchi come tutti cattivi e guerrafondai, il regista introduce un nuovo modo di concepire i nativi americani. Per l’umanista Delmer Daves i pellerossa sono uomini che lottano per i loro diritti contro i soprusi degli invasori e non semplicemente crudeli selvaggi. Attraverso questo film spettacolare e avventuroso egli mette in scena, con la massima onestà intellettuale, l’incontro-scontro, l’incomprensione-intolleranza tra due culture diverse, l’appassionato e dolente tema dell’insanabile contrasto tra l’utopia (ciò che la Storia poteva essere) e la realtà (ciò che effettivamente fu). L’amante indiana, tratto dal romanzo “Blood Brother” di Elliott Arnold, ispirato a un personaggio, Tom Jeffords realmente esistito, rientra in quella categoria narrativa del western – genere cinematografico americano per eccellenza – che racconta un itinerario spazio-temporale, ossia è ambientato in un mondo aperto con sullo sfondo grandi paesaggi naturali. Tre presenze indimenticabili sono al centro di questo western: Tom Jeffords, interpretato dal convincente e allampanato James Stewart, il bianco che cerca la pace ad ogni costo e che supera l’odio razziale con la forza dell’amore, la ragazza indiana “Stella del mattino” (“Sonseeahray” nella lingua apache) interpretata da una solare e stupenda Debra Paget e Cochise, il grande capo apache, interpretato dall’ottimo Jeff Chandler, che si vede costretto a fare la guerra per difendere il proprio popolo e che proprio per amore del suo popolo spezza la freccia, simbolo nel linguaggio indiano del seppellimento dell’ascia di guerra. Restano impresse nella memoria le scene d’amore tra Stewart e la dolcissima Debra Paget, allora sedicenne, venticinque anni in meno del compagno di set, che si svolgono sullo sfondo scenografico di un laghetto incantevole in Arizona e lo splendido primo piano di Tom Jeffords che tiene tra le braccia il corpo della moglie uccisa. Ebbe tre nominations agli Oscar, per il miglior attore non protagonista (Chandler), la miglior sceneggiatura, e la miglior fotografia a colori. Buona visione su Youtube.
Mimmo Gagliostro