Due i fatti che ricorderemo per essere accaduti in questo mese. Primo. La pandemia ha dato segni di tregua e se la battaglia non è stata ancora vinta l’esito è già stato deciso. Poco importa il colore della regione, nessuno se ne dà ormai pensiero da mesi nonostante la tv si affanni a segnalarci ogni viraggio deciso, previsto o semplicemente temuto. Secondo. Il governo Draghi ha presentato all’Europa il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Con meno del 34% della popolazione italiana il Mezzogiorno porta a casa il 40% degli investimenti complessivi, una previsione che ha consentito di parlare addirittura di riequilibrio territoriale fra le due Italie! E come mai nessun leghista o veteroleghista ha gridato allo scandalo? Semplice, la regola del 40% c’è già e non è mai stata applicata (legge 1 marzo 1986 n. 64), perché dovrebbe esserlo proprio ora? Ma se anche dovesse, infine, essere rispettata non porterebbe certo al riequilibrio territoriale. Il Sud ha un prodotto interno lordo pro-capite che vale ormai soltanto poco più della metà di quello del Centro-Nord; da qui al 2026 (l’orizzonte del PNRR), anche investendo a Sud quel 40%, non si raggiungerebbe neppure la vetta dei primi anni ’70 quando, grazie alla tanto vituperata Cassa del Mezzogiorno, il pil pro-capite meridionale raggiunse e superò quota 60% su quello misurato per il resto del Paese. E c’è un fatto ancora più increscioso. Il regionalismo italiano è fallito in generale ma in una regione come la Calabria neppure di fallimento si può parlare perché dovremmo ammettere che almeno qualche obiettivo di interesse generale sia stato, sia pure temporaneamente, perseguito dalla classe politica accampata a palazzo Campanella. Pensare di affidare a questa casta politica e alla burocrazia cresciuta al suo fianco i compiti del PNRR è una follia a cui neppure il più ingenuo fra noi potrebbe prestar fede.