Avevo sentito parlare di Hans Fallada, e non sempre in termini lusinghieri, ma non avevo mai letto un suo libro prima di questo. Partendo da un fatto realmente accaduto – la singolare opposizione di una coppia di anonimi coniugi berlinesi al regime nazista – Fallada scrive un’opera torrenziale di 700 pagine ma nella quale i numerosi personaggi si muovono in maniera perfettamente sincronica, come le figure meccaniche del campanile di una città anseatica. Il racconto è coinvolgente, addirittura minuzioso nello scavo psicologico dei protagonisti, totalizzante; la crudezza, l’orrore, l’assurdità, il grottesco che caratterizzarono l’epoca in cui è ambientato emergono placidamente, quasi inavvertitamente, senza però riuscire a fiaccare il nocciolo dell’animo dell’umanità, che si esprime attraverso la disarmante semplicità dei coniugi Quangel. I temi della vita è della morte trovano nell’ordito narrativo singolare risalto attraverso le vicende dei deuteragonisti, solo apparentemente secondarie ma in realtà in grado di colorare l’orrore quotidiano di una singolare verosimiglianza. La cupezza del paesaggio di sfondo, grigio ed immoto nella sua nettezza, racchiude la tragedia in una cornice infrangibile, all’interno della quale a perdersi è l’uomo nella sua essenza. Terribile e commovente. — Hans Fallada – Ognuno muore solo – Sellerio Editore