USA – 2015
Nell’estate del 2001, il direttore del “Boston Globe” Marty Baron (Liev Schreiber) incarica il team di reporter di indagare sul caso di un sacerdote locale, accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di 30 anni. Consapevoli che indagare sulla Chiesa cattolica di Boston provocherà serie conseguenze, il caporedattore Walter “Robby” Robinson (Michael Keaton), i giornalisti Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Michael Rezendes (Mark Ruffalo), e il ricercatore Matt Carroll (Briand’Arcy James) iniziano a scavare profondamente nel caso attraverso colloqui con l’avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian (StanleyTucci), interviste ad adulti che sono stati molestati da bambini e perseguendo il rilascio dei casellari giudiziari sigillati. Ben presto per il gruppo diventa evidente quanto la protezione sistematica dei sacerdoti implicati da parte della Chiesa sia molto più ampia di quanto avessero mai immaginato. Nonostante la ferma resistenza dei funzionari religiosi, tra cui il cardinale Law di Boston, nel gennaio 2002 il “Globe” decide di pubblicare l’inchiesta, aprendo la strada per ulteriori rivelazioni, anche a livello internazionale.
Regia: Thomas McCarthy
Attori: Mark Ruffalo – Michael Rezendes, Michael Keaton– Walter “Robby” Robinson, Rachel McAdams – Sacha Pfeiffer, Liev Schreiber – Marty Baron, John Slattery – Ben Bradlee Jr., Brian d’Arcy James – Matt Carroll, Stanley Tucci – Mitchell Garabedian, Jamey Sheridan – Jim Sullivan, Billy Crudup – Eric MacLeish, Len Cariou – Cardinale Law, Paul Guilfoyle – Peter Conley
Soggetto:inchiesta del “The Boston Globe”
Sceneggiatura: Josh Singer, Thomas McCarthy
Fotografia: Masanobu Takayanagi
Musiche: Howard Shore
Montaggio: Tom McArdle
Scenografia: Stephen Carter
Arredamento: Shane Vieau
Costumi: Wendy Chuck
Durata: 128′ Colore: C Genere: DRAMMATICO
NOTE
– FUORI CONCORSO ALLA 72. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2015), HA OTTENUTO IL ‘PREMIO BRIAN’.
– OSCAR 2016 PER: MIGLIOR FILM E SCENEGGIATURA ORIGINALE.
NOTA CRITICA – INFORMATIVA
Il cardinale Sean Patrick O’ Malley: “Il giornalismo è essenziale al nostro modo di vivere perché il ruolo dei media nel portare alla luce questi casi ha aperto una porta che la Chiesa ha attraversato per rispondere ai bisogni dei sopravvissuti”
“Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18,6).
Sulla scia tracciata da Alan Pakula con Tutti gli uomini del Presidente (1976), film memorabile con Robert Redford e Dustin Hoffman che racconta la storia di due cronisti del “Washington Post” che scoprirono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate provocando nel 1974 le dimissioni del presidente Nixon, ecco un esempio di cinema civile, coraggioso, libero e indipendente che ci ricorda, in un periodo come questo, dove pseudo-notizie vengono strillate con toni sensazionalistici sulla carta e su internet, quanto sia importante il buon giornalismo e come debba essere svolta una inchiesta. Il caso Spotlight, quinto lungometraggio del regista-attore Tom McCarthy, ricostruisce l’inchiesta giornalistica sullo scandalo degli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica bostoniana diretta dall’arcivescovo metropolita Bernard Francis Law. Portata avanti agli inizi degli anni Duemila, in una città che preferiva girare la testa da un’altra parte, da quattro redattori facenti parte del team Spotlight del “Boston Globe”, una delle più prestigiose testate giornalistiche degli Stati Uniti e radicata nel territorio con un 53% di lettori cattolici, l’inchiesta determinò alla fine le dimissioni dell’arcivescovo Law. Il film, privo di rancori o pregiudizi religiosi, affronta un tema bruciante e attuale (la pedofilia all’interno della Chiesa) in modo misurato e senza eccessi che provoca domande angoscianti e spunti di riflessione, rispetto al quale la Chiesa cattolica sulla spinta innovatrice di Papa Francesco ha assunto uno sguardo severo e indagatore. Premiato con ben due Oscar, come miglior film e migliore sceneggiatura, ritengo che Il caso Spotlight non sia un capolavoro ma un discreto film che colpisce, coinvolge e rimane impresso per via dei fatti raccontati, a cui difficilmente si può restare indifferenti. Certamente esso non ha il piglio narrativo grintoso, la cadenza da thriller di Tutti gli uomini del presidente, anche se non è completamente privo di suspense e di tensione. Tom McCarthy non è Pakula o Lumet, e la sua regia di stampo classico è priva di guizzi, non molto originale e poco ricercata nelle inquadrature, ma funzionale al racconto. Allora perché vederlo? Almeno per due motivi: innanzitutto il film descrive benissimo le dinamiche di un giornalismo virtuoso alla ricerca della verità e della giustizia, ormai raro anche negli Stati Uniti d’America, poi è convincente per la scrupolosa ricostruzione dei fatti grazie ad una sceneggiatura solida, brillante, persuasiva e ben scritta da Josh Singer che valorizza un cast di attori ben calati nella parte, come Stanley Tucci nei panni del ruvido e pittoresco avvocato armeno Garabedian, Liev Schreiber misurato e determinato direttore del Boston Globe. Ma a rubare la scena sono l’’impetuoso e decisoMark Ruffalo, l’avveduto e pensoso Michael Keaton, la pietosa ma energica Rachel McAdams. Da ultimo una curiosità: Mark Ruffalo e Stanley Tucci hanno radici calabresi. In particolare la madre di Tucci, Joan Tropeano, appartiene a una famiglia originaria di Cittanova.
Mimmo Gagliostro– 20 gennaio 2021
Il Cinema che interroga, denuncia, fa discutere. Queste, giusto caro Mimmo, insieme alla funzione ludica, le ragioni della “settima arte”. Qui, mi pare, che la pellicola ci interroghi oltre che sul ruolo del giornalismo nella società moderna anche, sia pure indirettamente, sulla vetustà di un codice che obbliga i ministri del culto cattolico a una innaturale castità sessuale.
Caro Pino, poni una domanda alla quale non so rispondere, se ti riferisci a una eventuale correlazione diretta tra il celibato e gli abusi sessuali sui minori. Intanto, da quel che ricordo, nel primo millennio della storia cristiana il celibato non era obbligatorio, e questo, come dice giustamente Don Sciortino, non è un dogma. La Chiesa cattolica potrebbe rivedere questa sua posizione sulla obbligatorietà del celibato per i religiosi. Per quanto riguarda il punto, molto discusso nel dibattito pubblico, di una correlazione tra celibato e abusi sessuali sui minori, vi sono due scuole di pensiero. Secondo la Royal Commission australiana, istituita dopo lo scandalo della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, il celibato e di conseguenza il voto di castità è indicato come una delle principali cause del comportamento di chi commette abusi. Secondo altri studiosi di teologia (Demasure, Lassi, ecc..) non vi è alcun dato scientifico che correli il celibato agli abusi sessuali sui minori. Mi auguro che il dibattito continui e che un giorno possa venire rimossa questa anacronistica posizione della Chiesa cattolica. Sugli scandali sessuali e i colpevoli silenzi da parte di molti ecclesiastici che hanno distrutto parecchie vite di innocenti, ti consiglio di leggere il bel libro del giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi,, “Lussuria”.
Tema spinoso. Non avanzo, non ho autorità né abbastanza conoscenza per farlo, una correlazione diretta fra gli abusi ai minori e il celibato. Mi limito a osservare che la sessualità repressa è all’origine di molte disfunzioni, anche gravi, della nostra psiche. Se questo vale, come pare, per tutti noi non credo possano escludersi le medesime conseguenze in chi sceglie il sacerdozio.