Immaginate un frullatore in cui sia possibile inserire le voci di Chrissie Hynde, Beth Orton, Sheryl Crow, Nicolette Larson, Beate S. Lech, Carole King e Suzanne Vega influenzate dagli stili musicali dei Prefab Sprout, Burt Bacharach e la “golden age” della musica orchestrale americana. A miscelatura avvenuta otterrete la voce e lo stile musicale di Erin Moran, vero nome di A Girl Called Eddy, cantautrice statunitense nata a Neptune, New Jersey, ma residente a Londra da circa 20 anni. I genitori sono i primi ad alimentarne la conoscenza musicale grazie alla loro passione per mostri sacri della musica a stelle e strisce, uno su tutti Frank Sinatra, artista le cui canzoni vengono diffuse pressoché continuamente a casa Moran. Inoltre Erin si appassiona ben presto al pianoforte. Subito dopo la prematura morte della madre, Erin trova un lavoro come receptionist presso uno studio di registrazione. È qui che fa conoscenza con Francis Dunnery (già iconico frontman della band prog-rock It Bites) il quale la vuole come corista e tastierista all’interno del proprio gruppo in vista di un tour che toccherà anche la Gran Bretagna. Proprio a Londra incontra Stephen Harris (produttore che vanta collaborazioni con Kula Shaker e Kaiser Chiefs) che la coinvolge nel progetto trip-hop Leomoon da cui avrà vita l’omonimo album nel 1999.
Stabilitasi nella capitale britannica, Erin sceglie A Girl Called Eddy come proprio nome d’arte e pubblica il suo primo EP “Tears all over town” nel 2001. Di lei si accorge Richard Hawley, chitarrista dei Pulp, che convincerà l’amico produttore Colin Elliott a darle una chance. Siamo nel 2004, anno di pubblicazione del primo, omonimo album. Qui la storia si interrompe improvvisamente, e per 14 lunghi anni. Erin Moran infatti scompare praticamente dalle scene fino al 2018, anno in cui viene pubblicato l’unico disco frutto della collaborazione con l’artista indie-pop Mehdi Zannad sotto il moniker The Last Detail.
Ma per un nuovo lavoro discografico completamente suo dobbiamo attendere ancora due anni, e finalmente a Febbraio 2020 ecco “Been around”, che già dal titolo (“sono stata in giro”) sembra voler dare una sintetica spiegazione alla sua lunga assenza. Un lavoro che ripaga ampiamente l’attesa, e per realizzare il quale l’artista si è circondata di nomi di primissimo piano, quasi tutti gravitanti nella scena di Nashville, dal virtuoso dell’armonica Jim Hoke (già in tour con Paul McCartney) alle Watson Twins (gruppo alternative-country costituito da due vere sorelle gemelle), da Bill DeMain (frontman del duo bossa nova Swan Dive) a Viktor Krauss (ex bassista di Michael McDonald) fino ad arrivare al genio della tromba e polistrumentista Michael Leonhart (collaborazioni con Bruno Mars, Yoko Ono, James Brown, Lenny Kravitz, Caetano Veloso, solo per citarne alcuni). Grazie anche al contributo di questi artisti, “Been around” sorprende per la cura degli arrangiamenti in ogni singolo brano.
Numerose le tracce da tenere d’occhio, a partire dalla title-track che apre l’album, dove si respira subito aria di classico. Intro che strizza l’occhio al gospel e poi accompagnamento “asciutto” fino al ritornello che fa da preludio all’esplosione della sezione fiati. Finale in crescendo con il solo di armonica e il coro avvolto in un tripudio di ottoni;
“Big mouth”, ballad che fa tornare alla mente il Beck ispiratissimo di “Sea change”;
“Finest actor”, brano a tinte noir che potrebbe a pieno titolo far parte della colonna sonora di un film di David Lynch
“Jody”, scritta in memoria di uno dei migliori amici di Erin, prematuramente scomparso. Anche qui grandissimo lavoro dei fiati e richiami alla Suzanne Vega degli anni ‘80;
“Charity shop window”, probabilmente il momento migliore del disco. Scritta a quattro mani con Paul Williams (Premio Oscar nel 1977 con “Evergreen”, tema principale del film “È nata una stella” per la voce di Barbra Streisand), stupisce per la delicatezza assoluta grazie a pianoforte e archi che sembrano cullare l’ascoltatore, soprattutto mediante l’ascolto in cuffia. Echi di Bacharach e Billy Joel in lontananza per questo piccolo e inaspettato capolavoro.
Grazie alla qualità dei brani in esso contenuti, possiamo dire che “Been around” si candida a essere uno dei dischi migliori dell’anno. E ci auguriamo che A Girl Called Eddy non si prenda un’altra lunga pausa, c’è bisogno di gente come lei.
Roberto Teti
“Been Around” ha cuore e anima. Voce e melodie lo rendono un disco che vale la pena di ascoltare. Grazie a Roberto e a Francesco per averlo segnalato
Mi colpisce una vita che parte in così rapida accelerazione verso la notorietà e il successo per poi entrare nell’ombra per 14 lunghissimi anni e infine riemergere