Sbatti il mostro in prima pagina
ITALIA – 1972
In un periodo politicamente caldo, l’8 marzo 1972, alla vigilia delle elezioni e quando la sede de “Il Giornale” ha subito un’aggressione da parte di gruppuscoli di sinistra, la quindicenne Maria Grazia (Silvia Kramar), figlia del noto professor Martini, viene trovata morta in un prato nella periferia di Milano. Il redattore-capo Bizanti (Gian MariaVolonté), sentito il parere dell’ingegner Montelli, finanziatore de “Il Giornale”, incarica il giovane Roveda (Fabio Garriba) di seguire il caso, affiancandogli lo smaliziato e spregiudicato Lauri (Jacques Herlin). Dal canto suo Bizanti avvia indagini private: avvicina la professoressa Rita Zigai (Laura Betti), in possesso del diario della quindicenne e amante di un extraparlamentare di sinistra, Mario Boni (Corrado Solari). Manipolando le notizie ottenute, Bizanti e Lauri presentanoun colpevole alla polizia, alla magistratura e all’opinione pubblica. Solo Roveda, che nutre dubbi, avvicina il bidello della scuola di Maria Grazia scoprendo con orrore la mistificazione e l’autentico assassino. Il redattore-capo anziché denunciare l’assassino, licenzia Roveda, tenendo pronta la notizia per sfruttarla secondo l’esito delle elezioni, sempre d’accordo con Montelli.
Regia: Marco Bellocchio
Attori: Gian Maria Volonté – Bizanti, Jacques Herlin – Lauri, Laura Betti – Rita Zigai, Fabio Garriba – Roveda, Corrado Solari – MarioBoni, John Steiner – Ing. Montelli, Carla Tatò – Moglie di Bizanti, Jean Rougeul – Direttore del giornale, Marco Bellocchio– Un giornalista, Gianni Solaro – Prof. Martini, Silvia Kramar – Maria Grazia Martini
Soggetto: Sergio Donati
Sceneggiatura: Sergio Donati, Goffredo Fofi
Fotografia: Erico Menczer, Luigi Kuveiller
Musiche: Nicola Piovani
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Scenografia: Dante Ferretti
Arredamento: Carlo Gervasi
Costumi: Franco Carretti
Durata: 93′ Colore: C Genere: DRAMMATICO, SOCIALE
NOTA CRITICA – INFORMATIVA
«Goebbels diceva nei suoi diari che le masse sono molto più primitive di quanto possiamo immaginare. La propaganda quindi dev’essere essenzialmente semplice, basata sulla tecnica della ripetizione …»
Leggendo la pregevole presentazione del libro “La bomba” di Enrico Deaglio, a cura di Paky Faraone, è ritornato alla mia memoria Sbatti il mostro in prima pagina, un film del 1972 di Marco Bellocchio. Il soggetto ideato dallo sceneggiatore Sergio Donati, che doveva anche dirigere il film, si bloccò per la sua malattia e pare per le divergenze d’impostazione con Volonté. Il produttore Tucci si rivolse allora a Bellocchio. Questi, non completamente soddisfatto della sceneggiatura, si avvalse della collaborazione del giornalista e critico cinematografico Goffredo Fofi. Il film affronta, sullo sfondo di un’Italia cupa, grigia, che aveva smarrito la spensieratezza della crescita economica e si preparava alla strategia della tensione, con la rivoluzione sessantottina tramontata (Giangiacomo Feltrinelli appena morto), il tema della manipolazione della realtà da parte della stampa, manipolazione ben rappresentata da un cinico e luciferino Gian Maria Volonté che difende i valori di una borghesia ipocrita e reazionaria, ma sopratutto intrecciata col potere politico. Se Bizanti, interpretato da Volonté, è un personaggio immaginario, reale è un vomitevole Bruno Vespa, un uomo al servizio della “verità” che nel Tg del 16 dicembre 1969 fa il grande scoop sulla strage di Piazza Fontana dichiarando: “Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano e degli attentati di Roma”. Pietro Valpreda, come Pinelli, l’anarchico “suicidatosi”, risulteranno innocenti. Negli anni settanta si parlava di manipolazione delle notizie e la cosiddetta controinformazione reagiva con una capillare rete di diffusione di informazioni differenti. Basta ricordare quel famoso libro intitolato “La strage di Stato” edito da Giulio Savelli a cura di un collettivo della sinistra extraparlamentare. Il film ricostruisce il contesto storico dell’epoca aprendo con delle immagini di repertorio dove si vede un giovane e scalmanato barbuto (Ignazio La Russa) che arringa i fascisti e i reazionari borghesi contro la minaccia del comunismo. A seguire i funerali di Giangiacomo Feltrinelli. Passando dal registro documentaristico a quello filmico, dopo le due scene iniziali dove si vedono la montatura giornalistica e il corpo della ragazza assassinata, la pellicola focalizza la sua attenzione sui metodi usati per la generazione del suo colpevole. Bellocchio ci propone ora delle atmosfere che ricordano certi film politici di Petri o di Costa-Gavras con risultati altalenanti e diseguali, meno incisivi di quanto sarebbe lecito attendersi e che non raggiungono certo la stilizzazione di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ma capaci di regalare almeno tre momenti memorabili: la lezione di semantica applicata all’informazione che Volontè impartisce al giovane e ingenuo giornalista Roveda quando analizza il titolo di un articolo del “Il Giornale”; la sequenza della scena fra Volontè e la moglie accanto al televisore, dove attacca la stupida ignoranza della consorte, che può essere presa a esempio dell’ottusità e disonestà della borghesia, mediocre e perbenista, dicendole: “Tu sei peggio di quei fessi che leggono Il Giornale come se fosse il Vangelo. È possibile che tu debba restare con la mentalità della moglie di uno statale? Ma lo vuoi capire che dalla moglie del responsabile di uno dei più qualificati giornali italiani si pretenderebbe una mentalità più evoluta di quella del suo lettore medio? Quando comincerai a capire il mondo, a capire la differenza tra quello che si pensa e quello che si dice? Sei una cretina, una cretina, una cretina”; la scena finale dove in un canale periferico l’acqua scura e fetida porta con sé lentamente ogni sorta di rifiuti urbani come volesse simboleggiare l’equazione immondizia = borghesia. Sbatti il mostro in prima pagina, per quanto limitato agli aspetti essenziali nel suo impianto generale, costituisce un’utile riflessione sull’uso della stampa in rapporto ad ogni reale o supposta verità. Da sottolineare la meravigliosa, impagabile, dominante interpretazione di Gian Maria Volontè, fascista in doppio petto, circondato da un buon cast di attori. “Il Giornale” del film non è quello fondato da Indro Montanelli. Potete visionare la pellicola su Youtube.
Il pregio di queste intramontabili pellicole è di rappresentare fenomeni sociali e culturali sempre attuali, in questo caso l’uso spregiudicato dell’informazione per distorcere la realtà e piegarla a finalità politiche. Il cittadino comune ha una sola arma di difesa, la capacità di analizzare criticamente i fatti, confrontare le opinioni, mettere in discussione ogni presunta certezza. Ciò che, tuttavia, viceversa richiede un non comune investimento in sapere e in cultura.
Le tue considerazioni sono assolutamente condivisibili. Ma avere la capacità critica di analizzare quello che si legge è una condizione necessaria ma non sufficiente per non fare parte di quelle masse primitive di cui parla Goebbels. Come hai notato il film tocca un particolare aspetto della comunicazione, e precisamente quello della tecnica di produzione della notizia, in questo caso falsa. Vi sono altri fattori che limitano la comunicazione e la ricerca della verità. Se la stragrande maggioranza dei media appartiene a imprenditori con interessi in diversi settori economici che nulla hanno a che fare con il giornalismo, è ovvio che possa scattare, anche in maniera inconsapevole, una qualsiasi forma di autocensura degli stessi giornalisti. E poi come dimenticare l’atteggiamento arrogante e prepotente di molti leader politici e le minacce e le intimidazioni ai tanti cronisti che operano in territori ad alta intensità mafiosa? Certo, la stampa non è quella degli anni Settanta, ma deve ancora fare passi giganteschi verso il traguardo della libertà.